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Il regista Eugène Green con Le Fils de Joseph ha realizzato una serie di quadri sulla Natività ambientati a Parigi ai giorni nostri. Un’opera lontana da qualunque altra al festival di Berlino quest’anno: il registro linguistico rimanda al teatro, le inquadrature a immagini religiose, si indaga nei volti sui quali Green si sofferma fino a sfinire lo spettatore attraverso un uso bulimico dei primi piani che mirano a sfondare la quarta parete. Vincent in un primo tempo solo il figlio di Marie, vive a Parigi, non riesce a instaurare un legame con i ragazzi della sua età e da anni cerca disperatamente il padre. Quando ne scopre finalmente l’identità rimane sconvolto, Oscar Pormenor gli si presenta come un uomo fastidioso, misero, dalla vita sregolata: editore di successo, circondato da amanti volgari, una moglie infelice, figli a carico di cui non ricorda neanche il numero. Il giovane protagonista incappa casualmente in Joseph, fratello di Oscar e sua nemesi, instaurando con lui un rapporto di corrispondenza d’animo, propensione alla bontà, ricerca di Dio.
Nella cameretta di Vincent un poster del sacrificio di Isacco di Caravaggio impone la sua presenza costantemente e la storia dei figli di Abramo è appunto il fils rouge dell’opera. Vincent tasta il terreno della fede e, nel più naturale dei percorsi, cercando Dio trova la sua identità; il figlio di Giuseppe viene guidato dal padre, quello da lui scelto, nel cammino a cui prenderà parte anche Maria interpretata da Natacha Régnier. Biondissima, occhi azzurri, votata con gioia e soddisfazione ad una vita sacrificale come infermiera, esteticamente e spiritualmente la personificazione dei dipinti mariologici nella Chiesa d’Occidente.
Green si è imbarcato in un difficile esperimento, seppur curioso e originale, di ermetica comprensione. Allegorico, ironico, goliardico e a tratti assurdo Le Fils de Joseph è stato presentato nella sezione Forum della 66esima Berlinale (orientata a lavori sperimentali e movimenti d’avanguardia), il pubblico l’ha accolto con una certa perplessità durante la prima proiezione. Con il procedere della storia, quando la strada imboccata dall’autore si palesa anche a chi sta guardando, diventa sempre più agevole comprendere il Green-pensiero, nonostante sia apprezzabile l’evidente libertà creativa e stilistica lasciata al regista nonché autore del film e il fascino di alcuni personaggi (la critica letteraria Violette, la segretaria amante di Pormenor), arrivati ai titoli di coda rimane comunque difficile intuire il quid del messaggio.