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(Cinematografo.it/Adnkronos) - "Credo sia di importanza fondamentale reagire con compassione e amore alla violenza e all'ignoranza. Il mio film parla di questo".
La regista australiana Jennifer Kent, unica donna nel concorso principale della Mostra del Cinema di Venezia con The Nightingale, reagisce così quando una giornalista le riferisce l'insulto pesante e sessista gridato da uno spettatore alla fine di una delle proiezioni anticipate del suo film. "Siamo in un momento storico difficile: l'amore e la compassione sono vicini ad essere considerati dei difetti. The Nightingale parla di questo. Della necessità di mantenere la nostra natura umana anche quando tutto intorno a noi ci spingerebbe a fare il contrario", ribadisce.
A tal proposito, poco fa la Biennale di Venezia ha comunicato via Twitter che "Ieri sera in Sala Darsena è avvenuto un fatto deplorevole per il quale La Biennale di Venezia ha provveduto all'immediato ritiro dell'accredito stampa del responsabile". Per la Biennale non è stato difficile individuare il responsabile, perché si era 'autodenunciato' lui stesso su Facebook.
Il film, ambientato nella Tasmania del 1825, con l'esercito inglese impegnato a sterminare gli aborigeni per appropriarsi delle loro terre, segue le vicende di Clare, una giovane detenuta irlandese, vittima anche lei di ogni tipo di violenza da parte di un tenente inglese. La giovane, dopo aver perso tutto, decide di addentrarsi nella foresta per dare la caccia all'ufficiale, in compagnia di Billy, una guida aborigena, che ha altrettanti motivi per avercela con gli inglesi. Il film contiene tante scene di violenza esplicita, tra stupri ed efferati omicidi.
"Volevo raccontare - dice Jennifer Kent - questa storia di violenza. In particolare, le conseguenze della violenza da una prospettiva femminile. Ho ripercorso la storia del mio paese, perché la colonizzazione dell'Australia è stata contrassegnata dalla violenza: nei confronti degli aborigeni, delle donne e del paese stesso, strappato ai suoi primi abitanti. Per sua natura, la colonizzazione è un atto brutale. E l'arroganza che l'ha contraddistinta persiste anche nei tempi moderni. La prima volta che ho visitato la Tasmania sono rimasta colpita della tristezza residua che si respira in quella terra. Ed ho cominciato a desiderate di raccontare questa storia. Ritengo che questa storia sia attuale a dispetto della sua ambientazione nel passato".
Jennifer KentQuanto alle scene di violenza del film, "quello che si vede è quello che vede Clare: spero di non aver mostrato scene gratuite. Io volevo mostrare il prezzo umano della violenza. Ed è importante che si rimanga scioccati", sottolinea, ricevendo gli applausi della sala stampa. "Sulla questione della violenza, non ho tutte le risposte ma ritengo - ribadisce - che si trovino nell'umanità, nell'empatia che dimostriamo a noi stessi e al nostro prossimo. Ogni altra risposta non produce niente di buono".
Sul fatto di essere l'unica regista donna nel concorso veneziano, Jennifer Kent ammette: "Non sono certo contenta. Mi piacerebbe essere in compagnia di altre registe. Il cinema riflette la società e se riflettiamo solo il mondo maschile continueremo ad avere dei problemi. Io sono per la parità ma non solo per le donne. Ci sono anche altre categorie che vengono escluse: penso ai cineasti aborigeni, ai cineasti di paesi in via di sviluppo, i cineasti dall'identità sessuale incerta. C'è ancora molto da fare. Credo - aggiunge - che il mondo possa guardare al modello dell'Australia e della Nuova Zelanda per l'accesso alla professione di regista e per riuscire a raccontare storie che hanno protagoniste donne complesse", afferma.