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“Le mie radici europee mi hanno obbligato a pormi delle domande sull’epoca che stiamo vivendo e su quella dei nostri antenati. Quanto è sottile la vernice della civiltà e che cosa si nasconde sotto?”. Il regista ungherese László Nemes, premio Oscar per l’opera prima Il figlio di Saul (film che venne premiato anche per la migliore regia a Cannes), porta in concorso a Venezia Napszállta (Sunset) per raccontare il tramonto – appunto – di un’epoca.
Ambientato nel 1913 a Budapest, il film segue da vicino la giovane Irisz Leiter (Juli Jakab) arriva nella capitale ungherese nutrendo l’ambiziosa speranza di lavorare come modista nel leggendario negozio di cappelli un tempo appartenuto ai genitori defunti. Ma viene cacciata dal proprietario, Oszkár Brill.
Mentre nella cappelleria sono in corso i preparativi per accogliere ospiti della massima importanza, un uomo si reca inaspettatamente da Irisz in cerca di un certo Kálmán Leiter. La ragazza scopre così di avere un fratello, che non ha mai conosciuto prima, unico anello di congiunzione con un passato perduto. La sua ricerca la condurrà dalle strade buie di Budapest, dove il negozio Leiter è l’unico raggio di luce, all’interno di una civiltà in tumulto alla vigilia del tracollo.
“Volevo soffermarmi su questa civiltà un attimo prima che venisse imboccato un bivio decisivo. Una civiltà all’apice del progresso e dello sviluppo tecnologico, vista attraverso la storia personale di una giovane donna che diventerà il riflesso della nascita vera e propria del XX secolo”, dice ancora Nemes, che prosegue da un punto di vista formale e di messa in scena il discorso già iniziato con il precedente Figlio di Saul: “Immaginando Sunset, ho cercato di trovare il punto di congiunzione tra una storia individuale e lo stato del mondo abitato dalla protagonista. È tipica del cinema contemporaneo la pratica di orientare lo spettatore e di rassicurarlo costantemente, ma io ho sempre cercato di trovare nuove strade per presentare al pubblico un’esperienza soggettiva di incertezza e fragilità, che sono le correnti sottotraccia della nostra autentica condizione umana”.
Condizione che, a distanza di poco più di un secolo, sembra fatalmente destinata a ripetersi: “Sembriamo scordare le profonde dinamiche della storia e, nel nostro sconfinato amore per la scienza e la tecnologia, tendiamo a dimenticare quanto ci possano portare vicini all’orlo della distruzione. Credo di poter dire che viviamo in un mondo non troppo distante da quello che precedette la Grande Guerra del 1914. Un mondo totalmente cieco di fronte alle forze della distruzione che nutre nel proprio nucleo. Non siamo lontani dai processi verificatisi sotto la monarchia Austro-ungarica. La storia è adesso, e nell’Europa centrale”.
Guerra che il regista ungherese, già allievo di Béla Tarr, non fatica a considerare come un vero e proprio suicidio: "L’Europa si trovava alla punta più estrema del proprio zenit e si suicidò. Questo suicidio resta un mistero ancora oggi. Come se una civiltà al suo apogeo avesse già prodotto il veleno che l’avrebbe distrutta. Al centro di questo film c’è questa ossessione, anche di natura personale. Il film è ambientato nell’impero austro-ungarico, uno stato multinazionale apparentemente prospero e con una dozzina di lingue e genti diverse, uno stato con le sue fiorenti capitali Vienna e Budapest, il centro culturale del mondo. Ma alcune forze nascoste stanno per distruggerlo”.
Tramonto sarà distribuito in Italia da Movies Inspired, ancora con data da definire.