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Due fratelli, uniti, ma distantissimi. Sono un celerino di origine africana del Reparto Mobile di Roma e un occupante di un palazzone in cui vivono 150 famiglie. Sono i due protagonisti dell’opera prima di Hleb Papou (nato in Bielorussia, cresciuto a Lecco e da anni nella Capitale) dal titolo Il legionario. Passato in apertura a Panorama Italia ad Alice nella città e già passato per Locarno 74, dove ha vinto il Best Emerging Director Award nel concorso Cineasti del presente, il film mette al centro la questione dell’emergenza abitativa in questo caso a Roma, e per la precisione nello Spin Time a San Giovanni.
“Dietro questo film c’è un lungo lavoro di preparazione- dice il regista-. Ci ho messo due anni a scrivere la sceneggiatura e ho fatto ben nove stesure. Per la preparazione dei rispettivi ruoli ci è stato molto utile sia raffrontarci con gli occupanti, alcuni dei quali sono presenti anche nel film, sia l’aiuto dell’agente Gianluca “Drago” Salvatori”.
Germano Gentile, che nel film interpreta l’agente chiamato a sgomberare l’immobile occupato, racconta: “Dietro quei caschi blu ci sono sempre delle persone. Mi sono allenato molto: tanti squat, tanta corsa, resistenza e lunghe distanze. Drago mi disse per prima cosa dovevo essere grosso. E io lo sono. Durante il lockdown le palestre erano chiuse, ma mi sono allenato molto a casa e poi lui mi ha aiutato molto mandandomi vocali e messaggi in cui mi spiegava tutto. È stato un vero maestro”.
E Maurizio Bousso, nei panni dell’occupante, dice: “All’inizio è stato difficile entrare nel palazzo, c’era molta diffidenza. Avevano paura di come venissero raccontate le cose. Io dovevo fare il loro rappresentante, la persona del comitato, ma sono riuscito a rubare ogni volta qualcosina. Ho assistito alle lunghe assemblee in cui si parlava molto di casse comuni e di soldi, di turni di picchetto e della partecipazione alle manifestazioni. Una serie di regole rigide che ti fanno capire che sì non è una caserma, ma non sono poi mondi così distanti”.
Nel film anche un breve cameo di Sabina Guzzanti, che da poco ha anche lei trattato in un suo doc, Spin Time, Che fatica la democrazia!, il tema delle case occupate. “L’ho contattata per ricostruire un po’ la situazione di solidarietà che si crea quando nel palazzo viene staccata la luce. Una cosa realmente accaduta. Mi serviva una persona vicina a questo tipo di tematiche, di centrosinistra e lei mi sembrava la più adatta”.
Solidale nel film anche la Chiesa. Non a caso sarà proprio un prete a ripristinare la luce staccata nel palazzo occupato. Un gesto a favore degli occupanti quasi politico
“Ci siamo ispirati dalla realtà perché ci fu quest’elemosiniere del papa, il cardinale Konrad Krajewski, emissario del Vaticano, che nel maggio 2019 staccò i sigilli di Acea e ripristinò l’elettricità nel palazzo- racconta il regista-. E poi si fece i selfie con gli occupanti. La Chiesa sta dalla parte dei poveri, degli emarginati e dei più deboli. Sta dalla parte degli ultimi. Lui fece un gesto concreto e pratico che condivido prendendosi anche la colpa e senza guardare in faccia nessuno”.
Un gesto a favore degli occupanti, quasi politico. Ma quale la soluzione per risolvere la questione dell’emergenza abitativa?
“I politici dovrebbero offrire delle soluzioni- risponde Bousso-. Di sicuro ci sono quartieri con palazzi costruiti nel nulla e che sono vuoti. Anche alcuni palazzi del centro di Roma lo sono. A Roma Est, dove abito, continuano a costruire palazzi che rimangono disabitati. Ci vuole una presa di coscienza da parte dei politici che non devono rimandare il problema. Tante persone non riescono a pagare l’affitto. Poi ovvio ci sono anche i furbetti”. E infine il regista conclude: “Anche io se dovessi rimanere con l’acqua alla gola non andrei a vivere sotto un ponte, ma senza dubbio andrei in un palazzo occupato”. Il film uscirà in sala distribuito da Fandango.