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Sture Bergwall è il vero nome di Thomas Quick, l’uomo che ha confessato 39 omicidi, tra bambini, adolescenti, donne e coppie, avvenuti in Svezia nel decennio tra il 1980 e il 1990. Documentario lucido e intrigante diretto da Brian Hill è stato presentato in anteprima nazionale alla 10. Festa del Cinema di Roma. Dai colori scuri e atmosfere thriller, una storia doppiamente raccapricciante, che lascia increduli e attoniti.
Sul grande schermo, a guardare dritto negli occhi lo spettatore, c’è lo stesso Thomas Quick. Un uomo apparentemente violento, freddo, senza scrupoli e con qualche disturbo mentale. I suoi racconti sono intervallati da interviste di avvocati, magistrati e giornalisti. Mancano, però, le testimonianze di psichiatri e psicoterapeuti che hanno seguito l’uomo durante il periodo, lungo 17 anni, in cui è stato internato in una clinica carceraria, uno dei maggiori manicomi del Paese. Nessuno di loro ha voluto rilasciare dichiarazioni a riguardo.
Quello di Thomas Quick è il caso più controverso degli ultimi anni, che ha a che vedere con la mala sanità, mala giustizia e plagio dell’opinione pubblica. L’Hannibal Lecter svedese, così definito dai giornali locali, non ricorda bene i delitti commessi. Risponde alle domande in modo confuso, quasi guidato nelle confessioni (iniziate nel 1991). Ad aiutarlo con i dettagli sono i libri letti, primo tra tutti American Psycho, uno dei suoi preferiti, e la benzodiazepina, presa e concessa in grandi quantità. Nel 2001 Thomas decide di disintossicarsi. Da questo momento smette di andare in terapia e parlare con la polizia. Si chiude in un silenzio a dire poco tombale. Sette anni senza proferire parola, finché un giorno confessa di aver sempre mentito, di non aver commesso alcun omicidio. Abbandona lo pseudonimo di Thomas Quick e torna a essere Sture Bergwall. Cerca il contatto con la famiglia e si affida a due giornalisti, che studiando il caso per bene riescono a mettere in dubbio l’intero apparato giudiziario. Nel 2013 Sture Bergwall viene assolto.
“È una storia molto complicata – commenta il regista britannico - e si svolge lungo molti anni. Io non credo che si sarebbe riusciti a capire cosa Sture ha fatto senza raccontare la sua infanzia e la sua adolescenza, e cosa lo ha spinto alla prima confessione. E uno dei modi per far capire la storia era di ricostruire alcune delle scene chiave”. Brian Hill sceglie di raccontare la storia del serial killer in modo schematico e cronologico. Dall’inizio alla fine. Thomas Quick, guardando dritto nella macchina da presa, confessa atti osceni e disgustosi, con particolari delle volte difficili anche da ascoltare. La struttura che accompagna il documentario ad un certo punto viene demolita quasi completamente. La ricerca della verità cambia l’ordine degli addendi.
Sture Bergwall oggi è libero e riconosciuto come innocente.