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Il coraggio non manca di certo a Luca Guadagnino che oggi presenta alla Mostra del Cinema di Venezia Suspiria, remake dell’omonimo classico di Dario Argento che diventa un’opera molto diversa negli occhi del regista di Chiamami col tuo nome: un dramma orrifico e fassbinderiano sulla Storia e sul corpo come luogo di battaglie politiche e fisiche.
“Ho in testa di raccontare questa storia, di darle un nuovo volto, dal 1985, dopo che a 14 anni vidi per la prima volta il film di Argento, un film che fu per me uno shock fortissimo nel mio immaginario e come ho scoperto anche in quello di tutto coloro con cui ho lavorato in questi anni. E così ho lavorato con attori, sceneggiatori e tecnici per fare di questo Suspiria una summa delle emozioni che ci ha suscitato”.
Il CastGuadagnino ha scelto di ambientare il film nel 1977, l’anno in cui il vecchio Suspiria uscì nelle sale: “Avevo solo 6 anni, ma ricordo piuttosto bene l’atmosfera che si respirava in quegli anni che furono detti di piombo: il terrorismo, la paura politica e la vitalità artistica. Volevo che il film avesse quell’atmosfera e quei ricordi, che fosse uno specchio della Storia e del passato”.
Il nazismo e il terrorismo, quindi, ma anche lo spirito dei nostri tempi che nel raccontare una storia di streghe nel contesto di un’accademia parlano anche di femminismo e di #MeToo: “Credo che il cinema detti il tempo della realtà e la trasfiguri, lo anticipi e lo rifletta: il film di Dario brulicava dei fermenti della sua epoca e vale lo stesso anche per me che guardo a quei tempi con maggiore controllo e riflessione, anche per poter trasfigurare la realtà. Abbiamo cominciato a lavorare al film molto prima dello scandalo Weinstein e dell’ondata del fenomeno che ne è scaturito, ma è inevitabile che il film viva di quest’aria, parlando di donne potenti, della rinascita del femminino”.
Per rendere i toni coloristici e l’atmosfera narrativa, Guadagnino cita varie opere, ma soprattutto Germania in autunno, un film collettivo del nuovo cinema tedesco anni ’70 (oltre a Fassbinder vi parteciparono Kluge, Reitz, Schlöndorff), ma il lavoro per costruire il senso di un’epoca e renderlo attuale non si ferma alla citazione: “Cerco sempre di entrare nella testa degli autori che amo quando mi ispiro a loro e così ho cercato di fare in questo caso. Il lavoro con Thom Yorke alle musiche è stato in questo senso fondamentale per me, perché avevo una forte urgenza di parlare alla mia generazione e il leader dei Radiohead era la voce giusta, con lui abbiamo cercato un suono che non provocasse tensione, ma entrasse sotto pelle. Lo stesso abbiamo fatto con le coreografie in cui abbiamo guardato a Pina Bausch, Mary Whitman e Sasha Waltz e per la resa visiva dei luoghi, delle scene e delle luci”.