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Fantastichini, Colangeli e Di Gregorio in Lontano, lontano
“L’idea me l’ha data Matteo Garrone. Conoscendomi, mi ha suggerito di realizzare questa storia, altrimenti non l’avrebbe fatta nessuno. Era qualcosa in linea con il mio cinema, così ho scelto di scriverla. Ho lavorato molto con lo sceneggiatore Marco Pettenello: una rivelazione. Lui è padovano, ma forse conosce la capitale meglio di me, e si è divertito a fare il romanaccio. Ci siamo spinti nelle periferie, abbiamo girato in alcuni luoghi che sento molto vicini. Ma è stata dura. Faceva caldo, una volta si sono addirittura scollate le mie scarpe”, spiega il regista Gianni Di Gregorio, che presenta il suo film Lontano lontano al Torino Film Festival.
La pensione non basta, arrivare a fine mese è sempre più difficile. Tre settantenni romani decidono di abbandonare la capitale e di andare all’estero. Ma lasciare tutto non è così semplice. I protagonisti sono: Attilio, Giorgetto e il Professore (Di Gregorio stesso).
“Sono persone che non si sono mai mosse, sono spaventati, anche se non bisognerebbe mai avere paura di mettersi in gioco. Il capo del terzetto è il personaggio di Ennio Fantastichini, Attilio, che ci manca moltissimo. Sul set eravamo come una famiglia”, aggiunge Di Gregorio.
Lontano lontano è l’ultima apparizione di Fantastichini. È stata proiettata una clip, dove lo vediamo sorridente mentre racconta questa esperienza: “È un film cristiano. E io dico sempre che non vado d’accordo con i cattolici perché sono cristiano (ride, n.d.r.). Si parla di accoglienza, di solidarietà. Stare sul set non è mai divertente, ma questa è forse la prima volta che ho un po’ di malinconia, e le riprese per me finiscono domani. Poi c’è un taglio sociale molto forte. Ho visto in un documentario che sono quasi 48mila i pensionati che hanno scelto di cambiare Paese. E l’Italia forse ha perso l’interesse, il rispetto per gli anziani. È l’inizio della decadenza”.
Lontano lontano
In Lontano lontano il tema del “viaggio è molto importante. La destinazione quasi sfugge al trio. Hanno bisogno di qualcosa in cui credere per andare avanti. Oggi la tecnologia ci fa sentire eterni, e questo distrugge le nuove generazioni. I giovani fanno fatica a trovare un posto nel nostro mondo. Abbiamo voluto far vedere un passaggio di testimone, ma non vi dico di più”, dice Giorgio Colangeli, Giorgetto nel film. E prosegue: “Giorgetto dà le chiavi del suo appartamento a un ragazzo di colore, per potersi fare la doccia. Dobbiamo imparare a costruire un’armonia con i migranti. Non si tratta più di aprire o chiudere i porti, loro sono già qui. Serve equilibrio”.
La domanda che pone la vicenda è se sia giusto partire invece di restare. “Nessuno vorrebbe abbandonare la sua casa. L’unica soluzione è fare qualcosa dove siamo già, altrimenti non cambierà mai nulla”, sostiene Di Gregorio. E aggiunge Colangeli: “La scelta appartiene a ognuno di noi. Il cinema non rispecchia la realtà, il suo compito è immergersi nella finzione”.