“Ho immaginato un inverno dove tutto sembra morto. Allora accendiamo un fuoco per riscaldarci e aspettiamo che l’inverno passi, che la natura rinasca. In questo film vince chi resiste all’inverno, sperando che qualcosa cambi. E quando qualcosa cambia l’imperativo etico è quello di agire”.

Edoardo De Angelis presenta alla XIII Festa del Cinema di Roma il suo quarto film, Il vizio della speranza, scritto insieme a Umberto Contarello e interpretato dalla moglie del regista, Pina Turco.

L’attrice sullo schermo è Maria, cappuccio sulla testa e passo risoluto, il suo tempo scorre lungo il fiume e la sua esistenza trascorre un giorno alla volta, senza sogni né desideri, a prendersi cura di sua madre (Cristina Donadio) e al servizio di una madame ingioiellata (Marina Confalone, superba). Insieme al suo pitbull dagli occhi coraggiosi Maria traghetta sul fiume donne incinte, in quello che sembra un purgatorio senza fine. È proprio a questa donna che la speranza un giorno tornerà a far visita, nella sua forma più ancestrale e potente, miracolosa come la vita stessa.

“Restare umani è da sempre la più grande delle rivoluzioni”, dice ancora De Angelis, che sulla genesi del film, previsto poi nelle sale a partire dal 22 novembre distribuito da Medusa, spiega: “Ho io per primo la tentazione di rifare qualcosa che mi venga bene. Per fortuna però mia moglie, lo sceneggiatore Contarello, i miei produttori, il distributore, sono gente un po’ folle che non ama le comodità, ma sono individui che vogliono superare il limite. È doveroso da parte nostra sperimentare, cercare nuove strade, l’innovazione sembra una follia, ma in realtà è un dovere”.

Innovazione che non prescinde però dall’abituale collaborazione con il maestro Enzo Avitabile alle musiche, che si rinnova dopo Indivisibili: “Abbiamo ragionato sulla possibilità di non avere un tema conduttore più importante di un altro, ma ognuno in grado di vivere di un suono proprio. La formula – spiega ancora Avitabile – è molto semplice, una musica che non è definizione per contratto, ma è un mix di immagine e suono e viceversa, è il cuore che porta avanti tutto. La musica sacra popolare, devozione laica che porta a un canto randagio, ma senza seguire linee guida definita. Poi la musica strumentale, orchestrale, poi canzoni, suoni che accompagnano scene che sembrano sospese, per accompagnare questo percorso di libertà di Maria. ‘Io sono quello che sento’, si dice a Napoli, e la musica sentiva quello che succedeva nel film”.

Film concepito da uomini (De Angelis, Contarello, Avitabile) ma popolato quasi esclusivamente da donne: “Il vizio più bello è quello di possedere il seme di una rivoluzione per scrivere il destino con le proprie mani. La nascita di un bambino è una cosa primordiale e al tempo stesso miracolosa. Edoardo pensava che io non fossi pronta e questa sfiducia è diventato il mio vizio della speranza. Quello di Maria è un personaggio meraviglioso e diventa l’emblema di tutti gli uomini e di tutte le donne sulla terra”, dice Pina Turco.

Il vizio della speranza (Credit Paolo Ciriello)

Mentre per la navigata Marina Confalone, chiamata al non semplice compito di interpretare la sgradevole “zia Maria”, “questo personaggio poteva correre il rischio di essere la cattiva troppo dichiarata e invece, pur vivendo sulle disgrazie degli altri, in un ambiente orribile, squallido, grazie al lavoro di De Angelis, a cui devo moltissimo per la cura affettuosa con cui mi guidava, riuscivo ad avvicinarmi sempre alle emozioni del personaggio interpretato da Pina Turco”.

Cristina Donadio – la Chanel della serie Gomorra – è invece la mamma di Maria: “Quello di Alba è un personaggio tremendo, inconsapevole dell’orrore che mette nel rapporto con la figlia. Si fa scivolare la vita addosso e devo ringraziare il regista che mi ha spinto a sottrarre sempre di più”.

Unico personaggio maschile di rilievo nel film è quello di Carlo Guende, interpretato da Massimiliano Rossi, habitué nel cinema di De Angelis: “Come sempre nei film di Edoardo mi pare che queste persone diventano davvero reali ma resta comunque un’inconoscibilità di fondo. Non ci avviciniamo mai allo stereotipo, ma anche alla fine del film sono personaggi che restano. Non bisogna dare forma a quello che esiste nel pensiero, ma provare ad avvicinarsi a quell’idea, a quella realtà. È un gioco di contrasto. Il mio personaggio è lo specchio della protagonista, i due sono in qualche modo legati da un evento ancestrale. È un uomo buono, come se anche lui aspettasse che qualcosa succeda”, dice l’attore.

Sulla genesi del film, infine, lo sceneggiatore Umberto Contarello racconta: “Il film nasce da un’idea e i bei film fanno viaggi tortuosi come i fiumi carsici, ma questo ha un’origine precisa. Edoardo mi chiamò dicendo che voleva fare un film che abbia un tema spirituale, mistico, religioso, esplicitamente cristiano. E credo che, magari non volendolo, l’andamento della storia assomigli ad una parabola, la partitura del racconto somiglia ad una partitura parabolica. E questa parabola – prosegue Contarello – ha un cuore antico, quasi arcaico, perché per essere universale devi essere arcaico, cosa che l’attualità non riesce a darti. Al contrario della vulgata mediologica dei nostri giorni, poi, questo film riporta al centro il fatto che fare un bambino non dipende dalle condizioni che tu reputi adeguate a fare un bambino. Oggi c’è una volgarissima banalizzazione del concetto, secondo cui un figlio nasce quando ha una culla pronta. Invece questo film dice che è il figlio a costruire la propria culla”.