Bello il film tedesco di apertura del penultimo giorno di Berlinale. Non c’è traccia di trasfigurazione e idealizzazione, quindi mistificazione, come nel precedente film di Hirschbiegel,
La Caduta, del 2004, sugli ultimi giorni del Führer rinchiuso nel bunker con Brun Ganz nei panni di Adolf Hitler. Questa volta il regista mostra la realtà cruda e sconvolgente della corresponsabilità della maggiornaza dei tedeschi. Anche
Elser, questo il titolo tedesco del film già venduto in venti paesi con il titolo inglese di
13 minutes, è un film che racconta un fallito attentato a Hitler, come l’hollywodiano
Operazione Valchiria con Tom Cruise. Solo che qui non è la cospirazione di nobili e generali guidati dal conte Von Stauffenberg del 20 luglio 1944, bensì un‘azione quasi sconosciuta ai più, compiuta anni prima di quello di Stauffenberg, a due mesi dall’inizio della guerra, l’8 novembre 1939, a Monaco, nella birreria dove ogni anno Hitler si ritrovava con i fedelissimi della prima ora. Il film apre su un uomo inginocchiato, mani e ginocchia insanguinate, alle prese con la preparazione di una bomba. L’orologio comincia a ticchettare, l’uomo lascia l’edificio e la città, e viene fermato, per caso, mentre tenta di attraversare il confine svizzero. L’esito dell’attentato è nei libri di storia: la bomba che Georg Elser fa detonare quella notte scoppia 13 minuti in ritardo. Hitler, e una manciata di gerarchi, hanno lasciato l’edificio prima del previsto. Otto persone muoiono quella notte, nessuna delle quali doveva essere eliminata. Fosse esplosa la bomba 13 minuti prima, sarebbero morti, oltre Hitler, anche Himmler, Bormann, Goebbels e Heß, il futuro capo di Auschwitz, seduti al suo fianco. Il fallimento dell’eroe arriva dunque alle prime scene, Elser viene torturato, imprigionato e giustiziato il 9 aprile 1945 a Dachau, un mese prima della fine della guerra, e due settimane prima della liberazione del campo da parte degli americani. Hirschbiegel non ci prova nemmeno a creare tensione con la messa in scena dell’attentato, piuttosto si riallaccia alla tradizione americana del biopic e parte dal destino di un singolo per affrontare un tema universale. La trama del racconto alterna claustrofobiche scene di interrogatorio a abili flashback nella vita del giovane Elser. Il lottatore solitario, il pensatore indipendente.
La Caduta, dicevamo, è un film avvolto in una sorta di sgradevole fascinazione per il carismatico Hitler/Ganz. In questo senso Elser, o 13 minuti, è una specie di autocorrezione. Qui Hitler non si vede nemmeno, anzi solo una volta, la voce arriva da registrazioni lontane e originali. Insomma, niente leggenda, ma verità. Il popolo nel nuovo film del regista tedesco è entusiasta. Il protagonista Christian Friedel convince. Elser non costruisce né il mosaico di una nazione sedotta, né un monumento all’eroe. Semplicemente fa chiarezza su un punto: uomini come Elser sono stati l’eccezione. I suoi torturatori, il capo della polizia e quello della Gestapo in primis, non possono credere che il giovane uomo abbia agito da solo. Mentre è disarmante Elser quando tra una tortura e l’altra spiega: “Sono l’unico esecutore del piano anche perché non avrei trovato nessuno pronto a partecipare”.