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Apre la venticinquesima edizione del Tertio Millennio Film Fest il film di Skinner Myers dal titolo The Sleeping Negro. Protagonista è un giovane uomo di colore, che di fronte a una serie di incidenti a sfondo razziale, si trova costretto a dover superare la rabbia, l’alienazione e la disperazione per trovare la propria umanità. Un progetto nato con l'intento da parte del regista di provocare le persone per fargli riesaminare la loro prospettiva sul mondo.
Quale la strada per il cambiamento? “Sono un pessimista. In America neanche le proteste funzionano”, risponde il regista. E poi spiega: “L’America è stata costruita sulla schiavitù e sui genocidi. Gli indigeni avevano vissuto nel continente per millenni in pace prima che arrivassero i colonizzatori europei. L’unica soluzione per mettere fine all’America come la conosciamo sarebbe sradicarne le fondamenta per farne di nuove. Qualunque movimento viene messo periodicamente a tacere dalla classe dominante. Gli Stati Uniti sono nati dalla violenza e possono cambiare solamente se si interrompe questa violenza. Ma nessuna delle oligarchie che governano vorrà farlo quindi non ho speranza. Non vedo una via d’uscita”.
The Sleeping NegroPrevisto nelle sale USA il 13 dicembre ma già circolato in qualche festival americano, il film non è stato apprezzato da tutti perché “molti non riuscivano a trovare empatia con una storia che trattava la questione della razza e dell’etnia e anche perché è molto diverso dai canonici film hollywoodiani”.
Sicuramente è piaciuto alla comunità delle persone di colore e questo è quel che conta per Skinner Myers. Che nel frattempo sta studiando all’università di Amsterdam ed è impegnato in un dottorato sui nuovi linguaggi per realizzare film che raccontino storie della comunità nera. “La teoria nasce da una serie di registi della scena di Los Angeles degli anni sessanta e settanta, che avevano trovato un modo proprio per raccontare le storie di queste persone di colore- racconta-. Una corrente che poi è stata esclusa dal mondo del cinema, da Hollywood, dal cinema bianco e dalla classe più alta del cinema nero perché rompeva un po’ gli schemi del sistema. Io voglio portare avanti quella corrente e cerco uno stile che sia adatto alle storie che voglio raccontare”. E di storie in cantiere da raccontare ne ha già molte, almeno altre sette. “I film che ho in mente sono tanti. Purtroppo sono i soldi per produrli che mancano. Nel prossimo progetto vorrei coinvolgere Danny Glover. Ho già scritto un film sul sogno americano e su una coppia di sessantenni. Un sogno che all’inizio sembra realizzarsi, ma che poi viene disilluso. Si intitola Anger never dies (La rabbia non muore mai)”.
Su Spike Lee dice: “I suoi primi film erano straordinari poi però ha passato più tempo da ricco che da povero e questo ha influenzato il suo cinema. I soldi lo hanno reso confuso dal punto di vista politico. Ha deluso un po’ tutta quella generazione di registi ribelli di Los Angeles di cui parlavo prima. Ha spazzato via tutto il lavoro che avevano fatto perché i suoi film non erano per la comunità nera. Mi dispiace vedere che ora promuove le cripto-valute da parte delle classi più povere”. Infine conclude: “Nel nostro paese non si può neanche parlare apertamente della nostra storia. Se non si può parlare del passato non si può neanche costruire un futuro”.
Skinner Myers - Foto Karen Di PaolaE proprio su un passato di cui non si parla mai apertamente si basa il secondo film che è stato proiettato nel corso della serata d’apertura del XXV Festival Cinematografico del Dialogo Interreligioso. S’intitola De Oost (The East) di Jim Taihuttu e vede protagonista l’attore olandese Martijn Lakemeier, nei panni del soldato Johan de Vries. La storia si svolge nel 1946 quando subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale oltre 100.000 giovani soldati furono spediti dai Paesi Bassi alle Indie orientali olandesi per combattere l’ennesima guerra.
“Io non conoscevo la storia del colonialismo dei Paesi Bassi perché non si studia nelle nostre scuole. Per questo motivo mi sono anche rimesso a studiare e mi sono documentato. È qualcosa di cui non si parla perché è qualcosa di cui ci si vergogna”, racconta Martijn Lakemeier. Una carriera iniziata per caso nel 2009 con Winter in Wartime, film presentato alla Festa di Roma nel 2009, e proseguita con diversi riconoscimenti tra cui miglior attore al Nederlands Film Festival e Shooting Star alla Berlinale 2021.
De Oost, in concorso a Tertio Millennio Film Fest“Da giovane sono stato preso dalla strada, non avevo idea che avrei fatto questo nella vita - racconta-. Poi sono arrivati tanti progetti interessanti, questo film, come Winter in Wartime, racconta una storia sul passato dell’Olanda”. Infine sul suo personaggio conclude: “Interpreto un giovane che decide volontariamente di arruolarsi in una guerra, ma poi torna a casa come criminale di guerra e si rende conto che si trova in una situazione di caos. Da questo film impariamo che voler fare la cosa giusta spesso non coincide con il fare la cosa giusta”.