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“La moltitudine di attentati avvenuti in Europa, in Medio Oriente, in America, nello Sri Lanka, ci hanno toccato in maniera profonda e ci hanno dato la spinta per fare questo film”. Luc Dardenne racconta così la genesi di Le jeune Ahmed, diretto insieme al fratello Jean-Pierre e – come di consueto – in concorso al Festival di Cannes, dove i Dardenne hanno già vinto due Palme d’Oro, nel ’99 con Rosetta e nel 2005 con L'Enfant).
Il film segue da vicino – come da titolo – il giovane Ahmed (Idir Ben Addi), tredicenne musulmano belga che trama di uccidere la propria insegnante dopo aver abbracciato un'interpretazione estremista del Corano.
“Intorno a lui ci sono figure come la madre, gli educatori, l’insegnante, che provano a far ragionare, a cambiare Ahmed, ma senza riuscirvi. Uscire dalla logica del fanatismo è difficile, forse impossibile. È per questo che i fondamentalisti fanno tanta paura”, dice ancora Luc.
Ma, sottolinea Jean-Pierre, “Ahmed è ancora un ragazzino, è ancora chiuso in qualche modo, dalla sua ha ancora delle possibilità. È come se fosse posseduto, non è lui che agisce in quel modo o che parla quando apre bocca, è stato manipolato dall’imam. La cosa che ci interessava non era fare un processo. Cerchiamo piuttosto di capire come si possa riportare verso la vita quel ragazzo. E alla fine ci sono due mani che si stringono, messaggio che indica quanto la vita, alla fine, sia sempre più forte dei fondamentalismi”.