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Ultimi fuochi del Concorso della settantaduesima Berlinale, prima dell'assegnazione degli Orsi d'Oro e d'Argento questa sera. Tre film in lizza tra martedì e mercoledì mattina. Tra questi, Leonora addio di Paolo Taviani, che ritorna in gara alla Berlinale esattamente dieci anni dopo l'Orso d'Oro per Cesare deve morire, firmato con il compianto fratello Vittorio. L'accoglienza della stampa internazionale pare sia stata più tiepida di quella italiana. Ma vedremo che ne hanno pensato Shyamalan e il suo consesso tra poche ore.
Per il resto, è sceso in gara ieri pomeriggio uno dei contendenti più attesi, il secondo lungometraggio della regista catalana Carla Simón, dopo il premiatissimo Estate 1993 (2017). Alcarràs, dal nome di una località rurale della Catalogna, racconta di una famiglia di agricoltori confrontata a conflitti e crisi portati dal cambiamento che incombe sulle terre che coltivano.
Da un lato, il patriarca della famiglia non ha documenti che provano il suo titolo a coltivare i terreni che da decenni una ricca famiglia di proprietari ha loro affittato. Dall’altro, Qumet, il figlio del patriarca che ora guida la famiglia, non accetta l’idea che le coltivazioni di pesche a cui ha dedicato la vita lascino il passo a complessi di pannelli solari.
Nel caldo di un’estate limpida che conduce alle fatiche di quello che potrebbe essere un ultimo raccolto, la regista adotta una prospettiva diffusa, appoggiando il racconto alla prospettiva della generazione dei figli, da Roger il maggiore che cerca di trovare l’approvazione del padre nel lavoro nel frutteto, ma incontrandone invece continua riprovazione, all’adolescente Mariona, che osserva e ascolta quanto la circonda con apparente impassibilità, fino alla piccola Iris, i cui giochi con i cugini gemelli Pau e Pere sono compromessi dalle ostilità che si insinuano tra i familiari adulti.
Un approccio di grande sensibilità e precisione che trattiene potenziali svarioni melodrammatici. Al contempo, questa qualità è anche il limite di un film molto curato nella forma, nella scrittura e nelle interpretazioni tutte molto naturalistiche, che però non travolge.
Hong Sangsoo è tornato in gara alla Berlinale per il terzo anno consecutivo stamane con The Novelist’s Film. Una collocazione un po’ ingrata, a poche ore dalla cerimonia di premiazione, per quello che è forse il capitolo più interessante di questo terzetto.
In un bianco e nero che più che mai mette in risalto il primo piano, creando sgranature sullo sfondo che alterano la percezione dello stesso in una dialettica molto connotata, Hong si concentra su una scrittrice che visita una vecchia amica divenuta libraia. Una circostanza che la porta al fortuito incontro con un’attrice (Kim Minhee) alla quale rivela il desiderio di realizzare un film come regista con lei. L’autoriflessione sul proprio processo creativo è filtrata da Hong attraverso la visione e lo sguardo di questa neofita, con ironia e tenerezza, portandoci a scoprire nel finale il risultato del suo percorso.
E con il film di Hong si è conclusa la parata di un Concorso generalmente sotto tono, caratterizzato da partecipazioni di nomi di prestigio del cinema d’autore internazionale con opere minori e da contributi di promettenti registi in ascesa che non hanno però creato le forti impressioni che in anni recenti hanno portato qui a Berlino film come SYNONYMES di Nadav Lapid, LOONY PORN… di Radu Jude o WHAT DO WE SEE WHEN WE LOOK AT THE SKY di Alexandre Koberidze.
Previsioni per i premi? Sarebbe un peccato se Un año una noche di Isaki Lacuesta, Les passagers de la nuit di Mikhaël Hers e Alcarràs di Carla Simón tornassero a casa a mani vuote. Per il resto, attendiamo con curiosità le sorprese che la giuria ci riserverà tra poche ore.