Teenager infelici, eroine transessuali, artisti eccentrici. La sezione Panorama della Berlinale punta sulla continuità con la nuova direzione dei curatori Paz Lázaro, Michael Stütz e Andreas Struck.
Una città industriale giapponese nel 1994 piena di fumi chimici e acque mefitiche. Eppure, due pescatori continuano ad aspettare pesci sulla riva del fiume mentre si raccontano le piccole storie del paese che così diverse dalle grandi storie nazionali poi non sono. Alcune di queste storie sono raccontate dal giapponese Isao Yukisada in River’s Edge, film ispirato a un manga.
La storia è quella di un gruppo di adolescenti legati dal sesso, violenza e amori infelici. Un ritratto a tinte scure della società giapponese raccontato con poesia. Questo groviglio emozionale fatto di estremi è stato il titolo di apertura di Panorama.
Il film dà la direzione della sezione più anticonvenzionale della Berlinale e tra le piattaforme più coraggiose del circuito festivaliero mondiale. Il cinema asiatico è infatti centrale. Bella la commedia cinese Girls Always Happy, il thriller taiwanese multiprospettico Xiao Mei così come i nuovi lavori di Kiyoshi Kurosawa (Forebording) e Kim Ki-duk (Human, Space, Time and Human) che si fanno notare e hanno già trovato una distribuzione internazionale.
L’altro focus regionale che si delinea dalle 47 pellicole di Panorama arrivate da 40 paesi è il Sudamerica.
L’argentino Sebastián Schjaer racconta nel suo debutto La omisión di una lavoratrice occasionale sullo sfondo di una terra del fuoco sepolta dalla neve che lotta per la sua identità, e non solo sessuale. Interessante e apprezzato.
Dal Brasile invece arrivano, tra l’altro, tre documentari degni di nota. Ex Pajé di Luiz Bolognesi mostra nella conversione forzata di uno sciamano al cristianesimo, come la cultura degli indigeni degli altipiani amazzonici sia destinata a una scomparsa inesorabile dalla storia. Lo sciamano, oggi, invece di parlare con gli spiriti, è l’idraulico di un istituto religioso. Solo quando una donna nel villaggio si ammala gravemente torna alle sue facoltà, vere o presunte. Ma in ogni caso il suo cammino verso il recupero di sé stesso è ora accompagnato da un religioso cattolico lungimirante e sensibile.
Altri luoghi quelli del bel Bixa Travesty di Linn Da Quebrada, su una musicista transessuale e la sua lotta contro il machismo e la violenza nella favela di São Paulo. Una parabola sul Brasile contemporaneo e le sue antiche, mai guarite, ferite sociali e politiche.
E un’altra figura di transessuale è al centro della storia raccontata dal saggio Obscuro Barroco di Evangelia Kraniotis. La storia è quella di una grande poetessa dimenticata, e in ogni caso sconosciuta fuori dal Brasile, Luana Muniz (1961–2017) nei cui testi dipinge con gli strumenti del realismo magico una Rio De Janeiro solo in parte immaginaria, così come la sua vicinanza a Dio.
Sarebbe stato interessante vedere in concorso un altro documentario tedesco questa volta, su un luogo simbolo della Germania di questi giorni. Si tratta di Zentralflughafen THF del turco Karim Aïnouz sull’ex aeroporto nazi di Berlin Tempelhof, trasformato da due anni in un centro di accoglienza per rifugiati. Una struttura perfettamente organizzata ma monumento a una burocrazia inesorabile che se organizza al meglio una situazione di straordinaria emergenza (solo nell’estate del 2015 nella capitale tedesca sono stati sistemati e scolarizzati in corsi di tedesco e sulla democrazia occidentale, 250 000 rifugiati) non può comunque fornire il paradiso a destini già segnati.
Belli anche i documentari su artisti, soprattutto musicisti, come Shut Up and Play the Piano sul talento universale del pianista contemporaneo Chilly Gonzales o Matangi/Maya/ M.I.A., sulla popstar singalese britannica M.I.A.
L’esperimento formale più azzardato, ma interessante, presentato in questa sezione è quello del regista russo kazaco Timur Bekmambetov, noto per i suoi impossibili e ben fatti science fiction Guardiani della notte (2005) e Guardiani del giorno (2007) già presentati nella sezione Berlinale Special.
Il suo nuovo Profile si basa sulla storia vera di una giornalista della BBC che grazie a un profilo falso su Facebook riesce a farsi recrutare dalle forze di combattimento dell’ISIS entrando così nella loro struttura di morte in Siria. La cosa interessante è che il film è costruito esclusivamente con le immagini che compaiono sullo schermo dello smartphone del giornalista.