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“Non erano solo degli attori, dei comici. Erano persone che hanno attinto alla profonda verità dell’essere umano. E questo spiega perché sono sopravvissuti più di tanti altri comici, perché appena apparsi sullo schermo sono subito sembrati opposti ma completi, come il sale e il pepe, l’olio e l’aceto, un qualcosa che si è sempre completato a vicenda”.
Semplicemente, Stanlio e Ollio. A parlare è John C. Reilly, che sullo schermo si trasforma in Oliver Hardy e trova al suo fianco Steve Coogan, chiamato a vestire i panni del sodale Stan Laurel. È Stan & Ollie di Jon S. Baird, questa sera alla XIII Festa del Cinema di Roma.


Previsto nelle nostre sale nel 2019 distribuito da Lucky Red, Stan & Ollie racconta l’ultima parte della carriera (e della vita) dello storico duo: siamo nel 1953, lo splendore del successo hollywoodiano è lontano almeno di sedici anni. E Stanlio e Ollio si imbarcano per una tournée teatrale in Gran Bretagna. Lo scopo è quello di convincere un produttore a finanziare il loro ritorno al cinema, con un film-parodia sulla leggenda di Robin Hood.
Basato in parte sul libro di A. J. Marriott, Laurel and Hardy – The British Tours, il film è scritto da Jeff Pope e si concentra sul profondo legame – non solo artistico – del duo: “Abbiamo lavorato a stretto contatto con le nipoti di Stanlio per avere informazioni che non sono di dominio pubblico, altre sono abbastanza note a tutti. Ma ogni volta che costruisci un film su persone vere è come un puzzle, e quando ti manca qualche pezzo ti prendi qualche licenza artistica. La loro amicizia si è cementata davvero in quell’ultimo periodo, in quel tour a fine carriera”, spiega il regista, Jon S. Baird.
“Abbiamo prima di tutto cercato di capire chi fossero, realmente, Stanley e Oliver. Appoggiarsi solamente ai loro film sarebbe stato rischioso, avremmo sfiorato la caricatura. Tutti sappiamo come fossero nei film, come si presentavamo, ed è qui che la sceneggiatura ti viene in soccorso: la storia di due uomini che hanno un’amicizia molto affettuosa e, guarda caso, sono due tra i comici più famosi al mondo”, spiega Steve Coogan, che interpreta Stanlio.


“Conoscevo i movimenti, il fisico di Stanley, quando da ragazzo facevo l’imitatore mi esercitavo ore e ore davanti allo specchio per provare ad emularlo – prosegue Coogan – . E quando è arrivato lo script ho pensato che potevo ripartire da lì, ma è stato un modo piuttosto strano di conoscere un personaggio, come provare a ricostruirlo dall’alto verso il basso, dal cappello fino ad arrivare alla sua profondità, alle radici della personalità. Perché la semplice imitazione ti può colpire per due minuti, ma poi capisci che manca la verità”.
Viaggio di riscoperta che John C. Reilly ha dovuto compiere nei confronti di Oliver Hardy: “Trovare il cuore romantico di Ollio è stato il punto chiave. Lui e Stan sono stati quel tipo di personaggio per tutta la vita, non si conoscevano prima di iniziare la carriera congiunta. Come costruivano i loro personaggi e quanto dei personaggi era già dentro di loro?”, si chiede l’attore, che aggiunge: “Soltanto io sono come sono davvero. Puoi andare a vedere i fatti, gli avvenimenti della vita di qualcuno, ma chi può veramente dire com’era una persona nel profondo? E il nostro scopo era quello di prendere questi attori, belli, bravissimi, e renderli umani. Alcune sono congetture, ipotesi, ma molte sono testimonianze reali. Il fatto che Ollio fece un film da solo, quello con l’elefante (Zenobia, in Italia noto come Ollio sposo mattacchione, 1939, realizzato dallo studio Hal Roach dopo la rottura con Laurel, ndr), come non poteva essere considerato un tradimento da parte di Stanlio? E allora lì abbiamo fatto delle ipotesi, per vedere come quell’avvenimento potesse aver influenzato il loro rapporto, creato magari un rancore, un risentimento”.


Rancori, risentimenti, che vengono però spazzati via dalla didascalia nel finale del film: “Oliver Hardy morì nel 1957. Per gli otto anni successivi, fino alla morte avvenuta nel 1965, Stan Laurel continuò a scrivere gag e film per il duo”.