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(Cinematografo.it/Adnkronos) - Parafrasando Shakespeare, "all the world is a stage and all the men are merely players" (tutto il mondo è un teatro, e gli uomini sono solo degli attori", ndr), dunque gli Stati Uniti sono una sorta di teatro in cui tutti si relazionano, dove tutti mettono la propria vita in prospettiva, e Trump è un attore, una sorta di "Falstaff", un personaggio shakespeariano".
Il regista Abel Ferrara - che oggi al Lido riceve il Premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker - traccia un'analisi della politica del presidente degli Usa, con particolare riferimento alla gestione della pandemia globale che ha colpito il pianeta. Ospite alla 77ma Mostra del Cinema di Venezia anche per presentare il suo documentario Sportin Life, nel quale ha documentato le sue esperienze nelle proiezioni del suo ultimo film Siberia al Festival di Berlino nel 2020, prima che l'epidemia di Coronavirus lo costringesse in quarantena.
Abel Ferrara e Alberto Barbera - Foto Karen Di Paola"Per capire veramente la politica di un luogo, devi essere lì, devi provenire da quel posto - afferma Ferrara -. Quindi, io non credo che nessuno capisca davvero la politica di Trump come io posso capirla, perché lui è cresciuto in un contesto simile, parla nello sesso modo, abbiamo culture simili. Ha più senso per noi americani". Presentato fuori concorso, e in cui compaiono -oltre al fedelissimo Willem Dafoe- la figlia Anna Ferrara e la compagna Cristina Chiriac, il film, partendo dall'esperienza della proiezione di 'Siberia', è poi proseguito in lockdown, dove Ferrara da Roma ha raccolto una serie di video che documentano momenti della pandemia.
"Il Lockdown a Roma in questi mesi, appena tornati da Berlino, a me è piaciuto -racconta la Chiriac ricordando l'esperienza delle riprese- perché è stato un bel momento di ripensamento, per fermarci e 'digerire' tante cose che abbiamo preso ma non assimilato negli anni".
E sul regista, aggiunge un particolare: "Tutti mi chiedevano come fosse lavorare con lui in quel momento, che è maniaco dell'igiene e terrorizzato dai batteri -scherza l'attrice- ma lui è stato invece molto tranquillo, lavorava tanto e anzi, gli piaceva molto lavorare più tranquillo senza tante interferenze".
Per completare il film "Abel aveva la sua sala montaggio, ma per finire il film abbiamo avuto bisogno di tre sale montaggio -racconta il montatore del film Leonardo Daniel Bianchi- Il processo è stato diverso ma non complicato. Ognuno aveva il suo spazio, il luogo dove poter pensare e sviluppare la sua idea e mostrarla agli altri in completa sicurezza".
Sportin' LifeIl regista, per recarsi nella sala montaggio "doveva attraversare Piazza Vittorio e l'Esquilino, facendo poche centinaia di metri per attraversare la strada -ricorda Bianchi- e rubava con il telefonino attimi di questo lockdown a Roma".