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“Un periodo meraviglioso e condiviso, siamo sempre arrivati in fondo per tanti anni, purtroppo siamo stati sfortunati, non abbiamo mai disputato una finale di Coppa Davis in Italia. E l’unica volta che abbiamo vinto il nostro Paese ci ha accolto dal Cile come reietti: dopo quarantacinque ci rende onore Domenico Procacci”.
Parola o, meglio, j’accuse di Adriano Panatta, protagonista con i compagni Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli e il capitano Nicola Pietrangeli di Una squadra, la docuserie di Domenico Procacci, scritta con Lucio Biancatelli e Sandro Veronesi, montata da Giogiò Fanchini, prodotta da Fandango, di cui il 39° Torino Film Festival ospita in anteprima un assaggio, 74 minuti, tratto dai sei episodi da 45 minuti che andranno in onda su Sky a maggio 2022. Su quel ritorno in patria senza allori torna anche Pietrangeli: “Come dice Adriano, non siamo stati accolti al ritorno, sembravamo ladri che avessero rubato le caramelle a un bambino”.
Gli anni contemplati vanno dal 1976 al 1980, Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli in quei cinque anni raggiungono la finale di Davis quattro volte, vincendo solo una volta: nel ‘76 contro il Cile. Intorno a quella finale si creò un caso politico, con enormi polemiche sull’opportunità di andare a giocare nel Cile del
dittatore Pinochet. Le finali perse nel ‘77 contro l’Australia, nel ‘79 contro gli USA e nel ‘80 contro la Cecoslovacchia: nelle prime due edizioni la squadra ha come capitano la leggenda Pietrangeli, poi esonerato dalla squadra stessa: Procacci inquadra il team più forte del mondo, malgrado – o in virtù? - dei rapporti difficili, perfino conflittuali, tra i giocatori, Panatta e Bertolucci vs Barazzutti e Zugarelli, e tra essi e la guida.
“Non è una serie sulla Davis del ’76, anche se è un capitolo importante. Per cinque anni furono la squadra da battere, la più forte del mondo, e sono personaggi interessanti anche dal punto di vista cinematografico, archetipi del cinema italiano: Adriano è Gassman, Paolo Tognazzi, Tonino Manfredi, Corrado il Satta Flores di C'eravamo tanto amati, Nicola Aldo Fabrizi o Adolfo Celi. Sicché non è un vero e proprio doc, abbiamo giocato al montaggio in maniera cinematografica”, osserva Procacci.
“Ci siamo divertiti, abbiamo raccontato un periodo della nostra vita in maniera disincantata, allegra, senza il ‘quando c’eravamo noi’ che odio. Una storia diversa da quella del tennis moderno, e io che non ricordo mai niente ho ritrovato aneddoti, ho rivissuto tutto con un attimo di tenerezza”, confessa Panatta.
Da parte sua Procacci, produttore di lungo corso all’esordio dietro la macchina da presa, dice di aver voluto “coniugare l’attenzione per gli anni Settanta, così importanti per la nostra storia, e la passione per il tennis. C’è una grande differenza tra questo e altri lavori più canonici su questa squadra, qui sono loro a raccontarsi, con ricordi non sempre precisissimi”.
Venendo all’oggi, ovvero alla Coppa Davis dove abbiamo appena raggiunto i quarti di finale con Sinner & Co., Bertolucci rivela di “invidiare il capitano Filippo Volandri, è appena arrivato e si trova una squadra giovane con il potenziale per vincere nell'arco di qualche anno. Ma fatico a chiamarla Davis, è un’altra competizione oggi, la formula è cambiata radicalmente qualche anno fa”.
Concordano Panatta, “non è più la Coppa Davis, sembra la Coppa Croce o la Coppa Facchinetti. La chiamano World Cup of Tennis, bene, levassero Davis, non c'è niente di male” e Barazzutti: “Il condizionamento è economico, la Coppa Davis è diventata così perché è stata comprata dalla società Cosmos, che l’ha fatta diventare il campionato del mondo di calcio, con quella formula esatta”.