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Robert Pattinson tergiversa, prima di rispondere alla domanda se creda, come il suo Samuel protagonsita di Damsel, al grande amore. "La vita vera è più complicata di quella delle praterie. Una forma di amore ideale e assoluta? Oggi impossibile da praticare“.
Vede la sua partecipazione a Damsel come un ulteriore sforzo per lasciarsi dietro i sei anni di serie per adolescenti innamorati Twilight?
Non ho nulla di cui rimproverarmi, né di certo rimpiango di aver partecipato a Twilight. Un attore cresce sul campo, di film in film, di sceneggiatura in sceneggiatura. Il privilegio di aver lavorato, da protagonista, in una serie dal successo planetario è ovviamente un’arma pericolosa. Perché quel volto ti resta addosso. Sicuramente oggi non mi sento come un pezzo di franchising.
Il suo Samuel strappa molti sorrisi in sala. Senz’altro un merito. La sfida del film è stata l’ironia?
No, le scene di danza che aprono il film. Né io né Mia (Wasikowska) sappiamo ballare.
La frustrazione per il film accolto molto tiepidamente in sala si legge sul volto dell’attore. Noioso, è l’aggettivo più usato dai giornalisti nei commenti e nelle recensioni.
Un giudizio che pesa. Trovo che i registi David e Nathan Zellner siano invece riusciti a dipingere personaggi fuori dai cliché. Il personaggio di Penelope interpretato da Mia è tutto fuorché noioso. Soprattutto, quello che trovo bellissimo è lo sguardo, la visione degli uomini che questo personaggio restituisce nella storia, unica donna tra soli uomini.
Che sguardo?
Di disillusione, non superiorità, ma disincanto e rabbia di fronte all’inganno. Trovo che ci sia un filo che unisce Penelope al movimento MeToo.
Ci spieghi.
Penelope non è un esempio di lotta, ma di resilienza e autonomia. Esprime la stessa energia delle colleghe protagoniste di questo movimento di affermazione della dignità. L’amore, trovo che sia il senso di questa storia primitiva, non giustifica tutto. Mai.