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“Hollywood? Oggi non si fanno più film, non si prendono più rischi, perché sono diventati troppi. La gloriosa Hollywood degli Anni Sessanta e Settanta non esiste più, nemmeno quella degli Ottanta-Novanta: ho fatto e avuto tanto, non ho rimpianti, ma è così”.
Parola di Oliver Stone, presidente di giuria del 65° Taormina Film Fest, con cui ha lunga consuetudine: “Nel 2007 portai Alexander, al Teatro Greco si gelava e fu un mezzo disastro; nel 2016 sono tornato con Ukraine on Fire di Igor Lopatonok, da me prodotto; ora faccio il presidente di giuria: posso vedere i film degli altri registi, in selezione ce ne sono dodici provenienti da tutto il mondo, è un privilegio”.
Cancellato il progetto White Lies con Benicio Del Toro, al festival siciliano porta anche – ancora da produttore, ancora regia di Igor Lopatonok – Revealing Ukraine, ma il progetto che svela è un altro: “Un film su Trump? Me lo chiedete tutti, in ogni paese in cui vado c’è chi me lo chiede, e sì, forse dovrei proprio farlo. Ho un’idea, ma svelarla è prematuro. Divertente? Be’, W. su George W. Bush (2008) lo era, perché Bush è ridicolo”.
Back in the days, nel trentesimo anniversario il 4 luglio al Teatro Antico verrà proiettato Nato il 4 luglio, il film sul Vietnam – interpretato da Tom Cruise – che gli valse il suo secondo Oscar per la regia: “Il vero protagonista, Ron Kovic, è vivo e vegeto, l’ho visto di recente. Condivisi con lui i credits della sceneggiatura, anche se agli Academy Awards per lo script venimmo battuti da A spasso con Daisy. Lo scrissi nel 1979, Platoon nel 1976, entrambi furono realizzati solo dieci anni più tardi: nessuno voleva girarli, ma non tutto il male venne per nuocere. Quando uscirono ricordarono all’America cosa fosse stata la guerra in Vietnam: l’avevano già dimenticato”.
Col cinema italiano Stone dice di non avere una “profonda relazione”, ma chissà se è proprio così: elogia “la dolce vita, poi Pasolini, De Sica. Su tutti, Germi e Bertolucci, che conoscevo e ammiravo molto”.
Stima anche per i colleghi messicani Guillermo del Toro, Alfonso Cuarón e Alejandro González Iñárritu, “assai talentuosi”, Stone stigmatizza “l’odierna distribuzione: piccoli schermi, smartphone, come fai a creare un wanna-see, un film che vuoi vedere? Per me il tema rimane centrale, il nome del regista sperabilmente anche, ma c’è davvero oggi qualcosa che vogliamo vedere? Facessi il film su Trump, ce ne sarebbero altri quattro o cinque su di lui, e il pubblico si dividerebbe, il business ne risentirebbe, non si recupererebbe l’investimento: è un circolo vizioso, e non necessariamente è buono per il pubblico. Perdi attenzione, certo, direte, ognuno può vedere questi film, e allora? Non è come per il cibo, non sono pasti, è questione di cervello!”.