"Non so se avete notato che mi sono vestito da sacerdote, in linea con la circostanza. Il ragazzo del motoscafo mi ha dato del monsignore". È un Pupi Avati esplosivo a ricevere, dalle mani di Mons. Davide Milani (Presidente Fondazione Ente dello Spettacolo), il Premio Bresson 2020, il tradizionale riconoscimento conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo, con il Patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e con il contributo della Direzione Generale Cinema del MIBACT.
“È un premio per andare oltre ciò che ci imprigiona e a partire da ciò che ci imprigiona, per volare verso il senso - spiega Mons. Milani – nella forma di una scultura in argento che rappresenta una gabbia da cui si stagliano delle ali (disegnato dall’orafo Giovanni Raspini, ndr). Il suo significato è ben preciso: invita ad andare oltre ciò che ci affatica. Verso la grazia, che deriva dalla realtà che viviamo e non è un assoluto sciolto dalla contingenza”.
Alberto Barbera, Davide Milani, Pupi Avati e Roberto Cicutto - foto di Karen Di PaolaPer festeggiare Pupi Avati è arrivato allo Spazio FEdS anche Roberto Cicutto (Presidente Biennale di Venezia), mentre Alberto Barbera (Direttore Artistico della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia) ha introdotto il premiato. “I meriti di Pupi Avati sono tantissimi – ha affermato Barbera – ed è inutile elencarli: partendo dalla provincia è riuscito a conquistarsi una posizione di prestigio nel cinema italiano, dando vita una società di produzione con cui ha tutelato la sua creatività Pupi è un grandissimo narratore di storie che rimarranno: gli spettatori di domani scopriranno qualcosa di questo Paese grazie ai suoi film”.
Intervistato dalla giornalista Tiziana Ferrario, Avati si è confermato un appassionante affabulatore, raccontando aneddoti e retroscena: “Mi sento un essere speciale: ero un venditore di surgelati e avevo sposato la ragazza più bella di Bologna, ma quando ho visto 8 ½ di Federico Fellini mi sono convinto a prendere la strada del cinema. Aver convinto, all’epoca, i miei amici del Bar Margherita a vedere il film è il capolavoro della mia vita. Tutta la mia esistenza è attraversata da incontri speciali: da Mario Monicelli, che aveva apprezzato il mio primo film e poi ho scoperto essere mio vicino di casa, a Pier Paolo Pasolini, con cui ho lavorato per la sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma. E, al mio secondo film, ricordo l’incontro con una giovane attrice sconosciuta che sostituiva la mia prima scelta, una sosia di Grace Kelly: non la volevo, mi sentivo tradito, ma appena si è messa a recitare mi sono reso conto di quanto fossi lontano da ciò che cercavo. Alla fine non riuscivo a dare lo stop perché ero commosso: quell’attrice era Mariangela Melato”.
Pupi Avati riceve il Premio Robert Bresson da Davide Milani - Foto Karen Di PaolaDopo la consegna del premio, Avati è tornato a Ferrara, dove sta girando il suo nuovo film, Lei mi parla ancora: “È la prima volta che traggo un film da un libro altrui – spiega il regista – e gli unici aspetti eccezionali di questo interessante libro di memorie erano l’età dello scrittore, il novantenne Giuseppe Sgarbi (padre di Vittorio ed Elisabetta), e il racconto di un matrimonio lungo sessantacinque anni. In realtà il libro è stato scritto con l’aiuto di un ghostwriter che ha riordinato i pezzi: per far diventare mia questa storia ho deciso di concentrarmi sul rapporto dialettico tra questo aiutante e Sgarbi, l’uno dalla vita matrimoniale un po’ disagiata e l’altro dedito al ricordo della moglie morta”.
In occasione del Premio Bresson, Pupi Avati è protagonista del nuovo numero della Rivista del Cinematografo, con un lungo e appassionato colloquio con Mons. Domenico Pompili (Vescovo di Rieti) dedicato al cinema come esperienza spirituale.