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“Prima di The King, non avevo mai pensato a una versione come questa della storia” ammette il regista del lungometraggio di Netflix, presentato fuori concorso a Venezia76. E aggiunge: “è stata una gioia tornare a lavorare con Joel Edgerton: eravamo tanto a contatto che mi ero dimenticato da quanto non succedeva” e cioè da Animal Kingdom, del 2010, in cui peraltro c’era anche Ben Mendelsohn.
Ma proprio l’amico e collega, Joel Edgerton, che in The King è attore, sceneggiatore e produttore, commenta: “Non abbiamo fatto Shakespeare, ma ci siamo chiesti come prendere la storia di Enrico V e rendere la sua trasformazione da uomo a Re, in modo che avesse risonanza”.
Interviene poi la star, il giovane protagonista Timothèe Chalamet: “Ammiravo i lavori di Joel e David e lavorare a The King è stato qualcosa di completamente nuovo e fuori dalla mia comfort zone. Non erano spade laser, erano spade medievali! Sto ancora imparando e inseguendo la migliore versione di me come attore possibile. Ma è questo che fanno i migliori maestri, ti spingono lontano dalle tue corde”.
Effettivamente le riprese, con stunt, coreografie e scene corali, sono state impegnative dal punto di vista registico e attoriale, almeno così racconta ancora Joel Edgerton: “Abbiamo girato in Ungheria del Nord, con 40 gradi, gente in armatura e a cavallo. A un certo punto pensavo di annegarci, in quel fango, mi copriva letteralmente tutta la faccia. Ma la cosa mi ha reso davvero felice, in fondo vivere questi momenti era il nostro sogno da bambini”.
A proposito di bambini, parla Lily-Rose Depp, la Princess Catherine del film: “Il film tratta del potere e di come viene gestito dai più giovani. Il mio personaggio, ad esempio, vi si relaziona con tantissima dedizione”. E Tom Glynn-Carney, volto di Henry Percy? “È stato un po’ come una rissa da cortile: ragazzi che non sanno ancora come gestire il potere e reagiscono con ansia, rabbia, ribellione. Ma chi vincerà, colui che vuole cambiare le cose o chi è dalla parte del potere da molto tempo?”
“Sono d’accordo, ma è anche un’allegoria moderna” sottolinea, a questo punto, Chalamet. “È un concetto molto inquietante, e ancora attualissimo, senza fare nome: sapere che un grandissimo potere è nelle mani di persone così poco pronte. E succede nel mondo reale, per motivi di successione, magari anche per merito, ma questo non lo sapremo mai”.