PHOTO
"Questo è un momento per riflettere su quello che significherà fare festival in futuro. Dobbiamo ripensarci, non possiamo credere che tutto torni come prima. Con la pandemia le cose sono inevitabilmente cambiate. L'invito è di partire da oggi guardandoci negli occhi e non più solo attraverso lo schermo. E ripartiamo dai territori, da dove nascono le esigenze, e sul rapporto focale tra festival e territori, tra territori e ministero". A parlare dalla Mostra del Cinema di Venezia è Chiara Valenti Omero (Presidente AFIC e co-direttrice di ShorTS International Film Festival di Trieste) che, allo Spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo all'Hotel Excelsior, ha aperto l'incontro "Festival e sostegni: a cosa servono?", promosso da AFIC (Associazione Festival Italiani di Cinema).
Presenti a Venezia Enrico Bufalini (Project Manager Creative Europe Desk Italy MEDIA Offices) e Stefania Ippoliti (Responsabile Area Cinema e Mediateca Direttore Toscana Film Commission presso Fondazione Sistema Toscana). Collegati in videoconferenza Nicola Borrelli (Direttore della Direzione generale Cinema e audiovisivo), Maria Giuseppina Troccoli (Direzione Generale per il Cinema) e Bruno Zambardino (Responsabile affari Ue Dg Cinema e Audiovisivo Mic e coordinatore istituzionale Italy for Movies).
A moderare l'incontro, Giorgio Gosetti (Vicepresidente AFIC e Delegato Generale Giornate degli Autori): "AFIC non è sindacato - spiega Gosetti - ma una piattaforma di lavoro aperta all'esterno. Non rappresenta tutti festival ma presta attenzione a tutto il sistema festivaliero. Nel post-pandemia la struttura dei festival deve essere la spina dorsale del rapporto tra lo spettatore e la sala. Il senso di un festival non è un tappeto rosso, i festeggiamenti, il glamour ma una dorsale senza la quale l'esercizio faticherà molto nel promuovere un certo tipo di cinema. I festival rappresentano sempre valore aggiunto, anche se piccoli. Per tantissimo cinema internazionale rappresenteranno il momento cruciale di messa in valore, a maggior ragione nel felice caos delle piattaforme e della distribuzione ordinaria: senza i festival, il cinema di qualità rischia di non essere conosciuto. Stiamo mettendo in campo un interesse comune".
"Nessuno di noi è in grado di sapere cosa accadrà dopo la pandemia - riflette Nicola Borrelli - perché cambieranno tutti i modelli di consumo audiovisivo quindi anche i festival. Dobbiamo studiare le dinamiche e ricalibrare offerta: i festival sono le prime antenne sul territorio. Da parte nostra dobbiamo migliorare ancora di più le tempistiche nella pubblicazione dei bandi e nel lavoro istruttorio. Quest'anno vogliamo provare a pubblicare il Bando Sostegni alla promozione cinematografica alla fine del 2021 per l'anno successivo e non più ad anno inoltrato".
Enrico Bufalini sottolinea l'importanza dell'attività di MEDIA di Europa Creativa, gestito dall'Istituto Luce e dal MIC: "In trent'anni di lavoro, MEDIA ha contribuito alla circolazione del cinema europeo nei paesi aderenti al programma. Il 50% del budget annuale è dedicato alla distribuzione: l'Europa fa con un territorio più grande ciò che i singoli paesi fanno nei rispettivi territori. MEDIA conta sui 27 paesi dell'Unione Europa più altri 12 che si affacciano sul Mediterraneo: si premiano i film che hanno la capacità di cooperare tra i diversi paesi e offrire maggior visibilità all'interno del continente ma anche fuori. Per quanto riguarda il successo nei bandi promossi da MEDIA, l'Italia è al terzo posto dei paesi europei per percentuale di successo tranne nel bando per i festival: c'è una partecipazione esagerata ma un successo spesso inferiore rispetto ad altri paesi. Come mai? In molti casi mancavano i presupposti per la concessione contributo: su tutti i film selezionati dai festival, il 50% deve provenire da paesi diversi da quello che ospita la manifestazione e devono essere presenti almeno 15 paesi dell'UE. L'incremento delle risorse fanno ben sperare per il futuro. Sono consigliati, per esempio, progetti di 'network di festival': bisogna promuovere la cooperazione anche tra festival internazionali per favorire la partecipazione su scala europea. I festival sono pensati avvicinare pubblico, la distribuzione per far circolare le opere".
Già presidente della Italian Film Commision, Stefania Ippoliti dirige con successo la Toscana Film Commission: "Molte di queste realtà hanno il compito di interagire con i festival, occasioni di crescita culturale ma anche prodotti per raggiungere il pubblico e trovare una audience complementare all'esercizio ordinario. Noi della Toscana gestiamo sala cinematografica: l'obiettivo non è solo fare bei film ma anche farli vedere. Certo, non è facile lavorare insieme: spesso i festival sono organizzati da poche persone che fanno altri lavori, hanno risorse limitate e poco tempo a disposizione. Cosa possiamo fare? Risorse maggiori e più certe: dal punto di vista delle regioni, siamo sempre alle prese con bilanci regionali e con bandi pubblicati con molto ritardo rispetto allo svolgimento dei festival. Diciamolo: i festival italiani sono coraggiosi, si prendono rischi che nessun imprenditore si assumerebbe. Dobbiamo stringere collaborazioni a livello internazionale, ripristinare le consultazioni con la Direzione Generale Cinema: siamo profondi conoscitori del territorio, quindi possiamo restituire le storie dei festival territori. E, inoltre, potremmo incoraggiare un tipo di turismo fondato sulla passione per i festival".
"L'analisi dei risultati è importante - commenta Maria Giuseppina Troccoli - ma una commissione, per quanto possa analizzare, agisce in poche settimane di istruttoria. I giudizi trasformati in punteggi possono essere più trasparenti se al momento non sufficientemente chiari. Ma teniamo presente che la commissione non si limita a esaminare il programma: controlla i siti internet, le pagine social, monitora gli aggiornamenti in rete. Le documentazioni devono essere esaustive".
"Per noi poter programmare per tempo è fondamentale" dice Valenti Omero, a nome dei 98 associati di AFIC, chiedendo maggiore ascolto nel lavoro istruttorio. "Noi facciamo impresa culturale - chiosa Gosetti - ma dobbiamo fare in modo di essere credibile per un investitore privato. Su questo piano dobbiamo chiedere un aiuto a chi ne sa più di noi".