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“Il cinema è molto diverso da quando ho cominciato, negli anni ’90, figuriamoci dal 1969” commenta Quentin Tarantino, al suo nono film con C’era una volta… a Hollywood, sguardo nostalgico all’Industry di fine sixties, e infatti girato in pellicola. “Una volta si percepiva la passione infusa nel creare set e sequenze d’azione fantastici, per farli davvero, senza effetti speciali” e conclude, “È un’arte che stiamo perdendo, e la cosa mi preoccupa”.
C’era una volta a… Hollywood, con Margot Robbie e Leonardo Di Caprio e Brad Pitt nei panni dei volti del cinema losangelino di mezzo secolo fa, sbarca nelle sale italiane il prossimo 19 settembre, dopo aver debuttato al Festival di Cannes lo scorso maggio.
“Quando leggi un copione scritto da Quentin, ti chiedi: E ora, questo, come lo faremo?” dichiara Shannon McIntosh, già produttrice di The Hateful Eight e Django Unchained. “Ogni volta, è un viaggio fantastico!”.
David Heyman, altro producer con Harry Potter e Animali Fantastici nel curriculum, si unisce al coro: “Tarantino è unico. Ha il controllo di ogni aspetto della produzione, ha un’attenzione per i dettagli da romanzo e l’estro con cui lo fa crea un’atmosfera incredibile. Molti registi creano attraverso il dolore, lui crea attraverso il piacere”.
La parola passa agli attori. “Il racconto di Quentin è brillante” incomincia il premio Oscar Leonardo Di Caprio, nei panni di Rick Dalton, “La relazione tra il mio personaggio e quello di Brad (Pitt, ndr), la trasformazione e l’istinto di sopravvivenza di un’era di Hollywood e della cultura tutta”. E prosegue: “Ci siamo chiesti come ritrarre l’anima di un personaggio, e abbiamo usato frammenti chiave della sua vita per trasmettere il pathos, la sua angoscia e la sensazione di mortalità nei confronti dell’Industry”.
E Margot Robbie, che interpreta Sharon Tate, cosa ne pensa di questa visione del 1969 hollywoodiano? “Per certi versi” replica l’attrice, “sono felice di lavorare in questo momento del cinema, nel presente. Ma anche quello fu un momento di grandi cambiamenti e passi in avanti per il medium, e ha prodotto tantissimi capolavori senza tempo”.
“Inoltre”, aggiunge, “Io non c’ero nel ‘69 a Hollywood ma Quentin Tarantino sì (benché giovanissimo, aveva solo 6 anni, ndr). Vedere attraverso i suoi occhi quali canzoni passassero in radio, quali film al cinema, come fosse Los Angeles, ha reso il film magico e personale”.
Peraltro, in C’era una volta… a Hollywood non c’è solo il cinema americano, ma anche quello italiano, citato ed evocato più volte. “Ho sempre amato le variazioni italiane sui generi cinematografici”, afferma il regista, “western, giallo e commedia sexy, persino il peplum. I registi italiani li hanno reinventati a modo proprio, ed è una cosa che ammiro. Il loro amore, l’entusiasmo per il cinema, è contagioso”.
Tarantino chiude, infine, con un aneddoto sull’amato linguaggio dei Leone, Corbucci e Sollima: “Il primo libro che ho letto sugli spaghetti western, vi si riferiva come alla “Opera lirica della violenza”. Ebbene, l’Opera lirica della violenza è ciò che ho cercato di fare per tutta la carriera”.