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C’è chi non ha accusato il lockdown della pandemia. Sono gli hikikomori, coloro che hanno deciso di chiudersi in casa spontaneamente, di isolarsi e di ritirarsi dalla vita sociale. Il termine è giapponese e il fenomeno purtroppo è in aumento: in Giappone si calcolano più di un milione di casi, in Italia circa 100.000.
Ce ne parla Francesco Falaschi (Quanto Basta) con il suo cortometraggio di 26’ minuti dal titolo Ho tutto il tempo che vuoi, disponibile dal 27 novembre su RaiPlay in occasione della quinta Giornata Nazionale sulle Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo.
Protagonista è Matteo (Luigi Fedele), un ragazzo diciassettenne che da tempo ha deciso di non andare più a scuola e di vivere il suo tempo chiuso nella sua stanza giocando a un videogioco al computer. “Il gioco giusto per chi è incazzato con il mondo”, dice Sara Melli (Cecilia Dazzi), un’educatrice chiamata dai servizi sociali per cercare di aiutare il giovane. “Non ce l’ho con il mondo ma con i morti viventi”, risponde lui. I morti viventi sono quelli che lui considera le “pedine”, quelli che fanno tutto ciò che gli dicono, mentre lui ha scelto di isolarsi perché tanto dentro casa ha tutto quel che vuole senza muoversi.
La sfida è dura per Sara: Matteo dovrebbe rientrare a scuola entro tre mesi per non perdere di nuovo l’anno scolastico.
Prodotto da Associazione culturale Storie di Cinema in collaborazione con Rai Cinema, questo corto, come dichiara il regista Francesco Falaschi, “ha come obiettivo e come esigenza, quello di fare luce su una pratica tanto delicata e attuale, quanto pericolosa per la sua diffusione tra i giovanissimi”. E aggiunge: “È necessario portare avanti campagne di sensibilizzazione, anche col cinema e l’audiovisivo. Il nostro lavoro è stato proposto (e premiato) in tanti festival: l’apprezzamento è il segno che siamo riusciti a veicolare un messaggio positivo anche partendo da una tematica complessa e dolorosa”.
Luigi Fedele e Cecilia DazziSicuramente quello degli hikikomori è un fenomeno sociale sul quale è importante fare luce anche perché sono ragazzi, nella fascia di età 15-19, che abbandonano progressivamente l’attività scolastica e si isolano anche per anni. Le persone che vivono in ritiro sociale volontario rinunciano a poco a poco alle relazioni con chi aveva fatto parte della loro vita, talvolta anche con i familiari, e spesso occupano il tempo impegnandosi in varie attività su internet, per esempio tenendosi in contatto gli uni con gli altri su forum e chat o guardando film e serie tv.
In Italia questi “eremiti dei tempi moderni” sono ancora poco conosciuti. Questo progetto, scritto dallo stesso Falaschi e da Alessio Brizzi, è nato all’interno di un’esperienza laboratoriale dei corsisti della Scuola di Cinema e il Coeso Società della Salute di Grosseto, che hanno sentito l’urgenza della messa in scena di questo racconto per la connessione tra ritiro sociale e dipendenze digitali, prima del lockdown dovuto alla pandemia.