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“Molti pensano che Aquile Randagie siano semplicemente degli uccelli rapaci”, dice il regista Gianni Aureli alla presentazione della sua opera prima, che parla non di volatili, ma di un gruppo di scout (le Aquile Randagie appunto) di Milano e di Monza che decisero di ribellarsi alla decisione del fascismo di chiudere tutte le associazioni giovanili che fossero differenti dall’Opera Nazionale Balilla.


Secondo giorno delle riprese del lungometraggio "Aquile Randagie", regia di Gianni Aureli.
foto e (c) di Matteo Bergamini/Scout
Questi ragazzi, guidati da Andrea Ghetti e Giulio Cesare Uccellini, continuarono la loro attività scout in clandestinità mantenendo la promessa di aiutare gli altri in ogni circostanza e supportando la resistenza fino alla fine della guerra.
“E’ una storia così bella che mi sono chiesto perché non ne fosse mai stato fatto un film. E’ poco conosciuta e ho deciso di farla uscire dai confini dello scoutismo”, dice il regista che ha scritto la sceneggiatura insieme a Massimo Bertocci, Francesco Losavio e Gaia Moretti.
Realizzato con un basso budget (500mila euro), questo film per ragazzi racconta quindi una storia del nostro paese, la lotta partigiana, che non è stata monocolore, ma è stata portata avanti da diversi ambiti, non ultimo dal mondo dello scoutismo.
Al centro del film c’è il tema dell’odio e di non rispondere a quest’ultimo con altrettanto odio. “L’amare il prossimo è un messaggio di matrice cristiana. E il motto degli scout è amare il prossimo e rendersi utile”, dice il regista, che poi sul ruolo della Chiesa in questa storia spiega: “C’era chi aveva voglia di essere sul campo, come don Enrico Bigatti e don Aurelio Giussani, e poi c’era una Chiesa che cercava di farlo senza mettere i manifesti. Due Chiese che sono andate insieme perché c’era chi poteva permettersi di esporsi di più e chi di meno, ma il risultato è stato lo stesso”.

