PHOTO
“Non si voleva fare un film di Urge, ma portare Urge al cinema”. Così Alessandro Bergonzoni spiega l’approdo del proprio spettacolo teatrale Urge nelle sale cinematografiche (dal 3 marzo 2016 in 30 schermi in tutta Italia, distruzione Exit Med!a). Ma com’è avvenuto questo approdo? Lo racconta il regista Riccardo Rodolfi: “Il teatro ha sempre un problema quello della rimembranza storica, così abbiamo creato negli anni un archivio di quello che abbiamo fatto. In fase di montaggio (delle riprese dello spettacolo Urge, Ndr) ci siamo accorti di aver fatto una ripresa di taglio cinematografico, da qui l’idea”.
Urge, infatti, nasce come spettacolo teatrale, un monologo, di Alessandro Bergonzoni che porta in scena un racconto apparentemente senza alcun senso di una visione. Visione che parte dal racconto di un sogno, alla spiegazione dello stesso, sino a raggiungere temi più alti, specchio della società odierna. In questo viaggio tutto ruota attorno al “voto di vastità”, aprendo il quesito più grande: cos’è a “vastità”? La risposta viene data: per trovare la vastità è necessario imbattersi nell’onirico, fuoriuscendo da quelle che sono abitudini e consuetudini dei giorni nostri. Il tutto viene condito da un ritmo serrato che tiene lo spettatore attento, il quale cerca di inseguire le parole di Bergonzoni, cucite insieme da collegamenti logico-intellettuali, giochi di parole, paragoni dell’assurdo. Insieme al grande uso della parola, la capacità attoriale e interpretativa di Bergonzoni è accompagnata anche dalla sua fisicità ed espressività, elemento quest’ultimo che nel cinema viene esaltato maggiormente.
“Riccardo Rodolfi – sottolinea Alessandro Bergonzoni – non ha fatto mai di me un beniamino del pubblico, un personaggio. Il tema è la parte, trovo tristissimo fare una parte, giù nella vita essere solo figlio, padre, marito, mi piace tutto: ecco appunto la vastità”.
Bergonzoni, un uomo da palco, meno da cinema: “Devo dire – spiega l’attore –, la fatica di fare l’attore per me al cinema sarebbe molto grossa. Morendo riuscirei a entrare in un personaggio cinematografico, vorrei morire prima del film, e recitare mentre sono morto”. La questione però non riguarda solo lo sforzo attoriale in sé, ma anche la percezione del pubblico al cinema: “Sono triste – prosegue Bergonzoni – da questa sete del pubblico di ridere a tutti i costi, deve succedere qualcosa di grave: che non è il personaggio che si fa riconoscere dallo spettatore che ti metti nei suoi panni, che si commuove durante il film, no ci si deve commuovere alla fine del film. Per esempio dopo aver visto Fuocoammare, quando si vede un bambino, l’acqua”.
Bergonzoni rimane così, almeno per il momento, un uomo da palco, intanto è il regista Rodolfi che porta l’attore sul grande schermo; quali possono essere però le difficoltà di trasportare uno spettacolo teatrale al cinema? “Due grossi problemi – racconta il regista –: togliere qualsiasi introspezione, lettura. Ridare qualcosa che in teatro non avrai mai, ovvero il primo piano. Lasciare o non il pubblico presente in sala? La risata? Tutto è risolto quando si spostano i punti macchina anche quelli audio fanno lo stesso. Abbiamo fatto varie versioni e abbiamo cercato quella meno teatrale e più vicina al cinema”.