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“L’intento era quello di fare un film che facesse ritrovare Ennio a chi lo conosceva e scoprire a chi non lo conosceva”.
Dopo la presentazione all'ultima Mostra di Venezia, Giuseppe Tornatore accompagna l’arrivo nelle sale del suo Ennio - anteprime in tutta Italia il 29 e 30 gennaio, poi in uscita regolare dal 17 febbraio distribuito da Lucky Red, in collaborazione con TimVision – documentario fiume (156’) che racconta il Maestro e l’uomo Morricone attraverso una lunga intervista (“realizzata in 11 giorni, 5-6 ore al giorno”) e numerose testimonianze di artisti e registi, da Bertolucci a Montaldo, da Bellocchio a Dario Argento, i fratelli Taviani, Carlo Verdone, Barry Levinson, Roland Joffé, Oliver Stone, Quentin Tarantino, oltre al prezioso recupero di materiali d’archivio (Rai, Istituto Luce), scene di tantissimi film e dietro le quinte, come ad esempio nel caso di C’era una volta in America di Sergio Leone.
“Del mio rapporto con Ennio si è parlato spesso e anche a lui veniva chiesto in tante situazioni”, spiega Tornatore, che dal 1989 con Nuovo Cinema Paradiso aveva iniziato la lunga e ininterrotta collaborazione con Morricone.
“Avvertivo il pericolo che dentro al documentario potesse nascere un’altra gobba, un’escrescenza, che finisse per trasformarlo in qualcosa di autocelebrativo. Per questo mi sono limitato a mettere qualcosa dei miei film, non tutto. Perché il mio rapporto con lui si intuisce lungo tutto il film, esagerare da quel punto di vista sarebbe stato riduttivo e stonato, era doveroso da parte mia fare un passo indietro”, dice ancora il regista.
Che segue l’intero arco “narrativo” dell’esistenza umana di Ennio e il lunghissimo percorso della carriera di Morricone, scomparso nel luglio del 2020: dagli esordi, giovanissimo, come trombettista (sulle orme di papà Mario) e gli studi al Conservatorio sotto la guida di Goffredo Petrassi, con il quale si diplomò in composizione, poi la fondazione del gruppo di musica sperimentale Nuovo Consonanza, il contratto con la RCA e la sterminata produzione di arrangiamenti per i vari Edoardo Vianello, Gianni Morandi (“era in grado di colorare le canzoni”), Gino Paoli, Mina, Paul Anka, le collaborazioni con Chet Baker e l’approdo al cinema.
Dal primo film dove comparve il suo nome nei credits (Il federale di Luciano Salce, 1961) alla succedanea consacrazione grazie alla collaborazione con Sergio Leone per gli spaghetti western: è solamente l’inizio di un cammino lunghissimo e ininterrotto, che l’ha portato a firmare oltre 500 colonne sonore e, di fatto, “a cambiare il destino della musica” (Bruce Springsteen).
“Ennio era poesia e prosa insieme, come ricordava Bernardo Bertolucci. La linea sentimentale del film non era precostituita, tutt’altro, ho dovuto anzi trattenere questo aspetto”, confida ancora Tornatore, che aggiunge: “L’emotività di un brano di Ennio partiva da uno studio, da un esperimento musicale. Era frutto di un tale rigore, di una sincerità che poi inevitabilmente trasmetteva sentimento: per questo spero che alla fine il film restituisca la sua figura non solo per quello che racconta o per quello che gli altri dicono di lui, ma per quello che finisci per avvertire in relazione alla sua musica. O ai vari rapporti della sua esistenza, dalla formazione con il maestro Petrassi all’insostituibile Maria, sua moglie”.
Ennio MorriconePresenza-assenza, quella di Maria Travia (sposata con Morricone dal 1956), decisiva tanto nell’esistenza del Maestro quanto nel tessuto emotivo del documentario: “In un primo momento pensavo di intervistarla, pensavo fosse utile al film, per farmi dire cose di Ennio che persino la sua disponibilità non mi avrebbe concesso. E lei mi disse ‘assolutamente no, non me lo chiedere. Se vuoi ti posso raccontare delle cose off the record, per la tua ricerca, ma senza essere ripresa’. Poi ci riprovai, e lei mi disse la stessa cosa. Ha visto tutte le varie stesure del film, poi mi ha rivelato che si era sentita in colpa per quelle risposte ma che alla fine aveva ragione lei. Ed era vero, perché è un personaggio talmente importante, talmente forte che avrei dovuto cambiare il titolo del film in Ennio e Maria. Quello che dicono gli altri del loro rapporto può sembrare retorico ma è assolutamente così, perché parliamo di una donna fuori dall’ordinario. Ennio era un genio nella musica non sapendolo, e questa era la chiave della sua grandezza, lei invece era un genio dei rapporti umani, della sensibilità. E come ricorda anche Caterina Caselli nel documentario, ha costruito un perimetro di protezione su di lui, e lo ha fatto sempre”.
Aneddoti curiosi (la mancata collaborazione con Kubrick per Arancia meccanica a causa di una bugia di Sergio Leone…), la passione per gli scacchi, il dolore per essere stato isolato dal mondo accademico che snobbava il suo lavoro da compositore per film, con successiva lettera di scuse di Boris Porena (altro allievo di Petrassi) all’indomani di C’era una volta in America, Ennio è anche, e soprattutto, un’indagine volta a svelare ciò che di Morricone si conosce poco, come l’origine realistica di certe sue intuizioni musicali: dall’urlo del coyote che gli suggerisce il tema de Il buono il brutto, il cattivo, o il battere ritmato delle mani su alcuni bidoni di latta da parte degli scioperanti in testa ad un corteo di protesta per le vie di Roma che gli ispira il tema di Sostiene Pereira. Un’attitudine all’invenzione che trova conferma nel suo costante amore per la musica assoluta, e la sua vocazione a una persistente sperimentazione.
Respingeva ad esempio “l’idea che in un film la cosa più importante fosse la musica – racconta ancora Tornatore –. Riteneva piuttosto che per fare un buon servizio al film la musica dovesse vivere di luce propria, pur nascendo da una tessitura, da radici interne al film stesso: era consapevole che quello della musica fosse il linguaggio universale per eccellenza, che non abbisogna di alcuna traduzione, e proprio per questo sapeva che poteva schiacciare le immagini stesse di un film. Per questo diceva che andava gestita, perché poteva oscurare la visione: in un film quando la musica deve avere il suo slancio bisogna darglielo ma senza strafare perché si ottiene il risultato paradossale di creare due corpi estranei. La sua capacità era quella di acchiappare subito gli elementi di un film da cui poi tirava fuori le sue idee: bastava ad esempio che un’attrice spezzasse il vetro di una finestra e su quel suono poteva costruire l’intera partitura”.
Ennio MorriconeMa cosa avrebbe detto Ennio se fosse riuscito a vedere il documentario finito? “Sono certo che alla fine della visione mi avrebbe detto ‘Tutta ‘sta musica, ma non è troppa?’. Perché lui aveva l’opinione, giusta, che un brano musicale è forte anche in virtù del silenzio che lo precede. È vero, ma mi sono trovato a dover infrangere questa regola e mi sono trovato a dover saltellare, a scegliere un contrappunto continuo tra parole, musica e immagini”.
E come cambierà il cinema di Giuseppe Tornatore senza l’apporto abituale del Maestro? “Ho sempre sostenuto che la musica non dovesse essere un orpello aggiunto al film, ma uno degli elementi costitutivi e anche per questo con lui registravamo prima che io girassi. Non essendo elemento esterno al film, la musica ne supporta la cifra, la personalità: da questo deduco che i miei film sarebbero stati diversi senza la sua musica. E da questo devo dedurne che i miei film successivi avranno qualcosa di diverso, ma spero con elementi di continuità”, ipotizza il regista, già al lavoro su un nuovo film di finzione: “Terminata la fase di scrittura, abbiamo iniziato la lavorazione con i mezzi attuali a disposizione, via zoom e altro, in attesa di poter iniziare la lavorazione on location, visto che è ambientato in altri paesi”.
E proprio sulla situazione che stiamo vivendo, sulla conseguente crisi della sala cinematografica, Tornatore esclude categoricamente che questa crisi possa “rappresentare la fine stessa della sala, penso invece che si tratti di una stagione difficile e che i nuovi sistemi di diffusione dell’opera cinematografica non siano finiti: siamo solo all’inizio, ne nasceranno ancora, tra due anni saranno vecchi quelli di oggi, il film avrà innumerevoli modalità di diffusione. Ma tra queste la sala non potrà mai non esserci. Avrà dei momenti di rilancio inaspettati, forse, che al momento nessuno riesce a presagire. Quell’esperienza emotiva unica non la si può cancellare, fa parte del nostro modo di rapportarci alla storia. Così come quell’aggeggio per leggere i libri (il Kindle, ndr) non ha soppiantato l’esperienza di sfogliare e leggere un libro”.
Sull’aspetto “creativo”, invece, “ci troviamo in un contesto che ha condizionato tutto, il nostro modo di comportarci, la nostra vita concreta, figuriamoci la nostra vita interiore e la creatività. Ho molta paura che questi condizionamenti possano essere accettati, dati per scontati, mi piace invece sperare di riuscire a mantenere la capacità di avere momenti di spensieratezza come li potevo avere prima, perché sarebbe un disastro altrimenti. Il nostro modo di pensare finirebbe per omologarsi a cifre troppo tristi. Dobbiamo per questo esercitarci a far sì che certi modi di pensare, di comportarci, non scompaiano, dobbiamo in qualche modo educare, inventare nuove materie scolastiche, come la spensieratezza appunto”.
Giuseppe TornatoreTornando infine al documentario, Tornatore assicura che non c’è stata nessuna richiesta da parte di Morricone di non parlare o di omettere qualcosa: “Certo, gli è costato molto ricordare che era stato isolato dal mondo accademico, ma rispetto alle canoniche interviste che rilasciava ai giornalisti, dove finiva per irrigidirsi perché costretto a rimanere dentro tempistiche prestabilite, qui ha percorso una linea di narrazione che seguiva ogni pensiero, ha raccontato cose che altrimenti non si sarebbe mai sentito di raccontare. Alla fine mi ha detto che gli era sembrata una lunga seduta di psicanalisi. E quando abbiamo concluso, quando gli ho detto che non avevo più domande da fargli, gli ho semplicemente chiesto se voleva dire qualcosa a chi avrebbe poi visto il documentario. E mentre lo diceva ho pensato subito che sarebbe stata la fine del film”.