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“La pittura ci permette di capire che siamo noi europei: dovremmo guardarci di più il viso, i particolari, le cose che ci diversificano. La cultura ha bisogno di distanze, non si può mescolare, bisogna rivolgersi alla cultura in modo molto più tenero, se la cultura viene distrutta non è possibile ricrearla”. Così un applaudito Aleksandr Sokurov porta in Concorso alla 72. Mostra di Venezia Francofonia, girato al Louvre di Parigi.
Non è la prima volta che il regista russo ambienta un film in un museo, l’aveva già fatto con l’Hermitage di San Pietroburgo per Arca Russa (2002) e il Bojimans Museum di Rotterdam per Elegy of a Voyage (2003), ma rassicura: “Non mi voglio specializzare in musei, lo fanno già egregiamente le tv mondiali, come la BBC. Non ho pianificato nulla, non voglio programmare, racconto una storia unica e un museo, il Louvre, che è uno dei miei personaggi”.
Il Louvre, però, è vuoto, le opere sono state trasportate altrove, nei castelli in campagna: siamo nel giugno 1940, le truppe tedesche hanno preso Parigi, il conte Franz Wolff-Metternich (Benjamin Utzerath), capo del Kunstschutz, la commissione tedesca per la protezione delle opere d’arte in Francia, incontra Jacques Jaujard (Louis Do de Lencquesaing), il direttore del Louvre, colui che ha concepito e predisposto il piano d’evacuazione dei musei francesi...
Francofonia è costruito con formati e supporti diversi, CGI, effetti e videochiamate, eppure Sokurov non ne fa una questione di stile: “La forma ha avuto grande rilievo per me tempo fa, oggi il significato delle cose ha più importanza per me, la decisione formale non è affatto interessante. L’individualità, la particolarità del film va risolta tramite il significato artistico, non la forma. Il mio, il nostro desiderio era di realizzare un’opera artistica, una rappresentazione soggettiva e solida, non pubblicitaria, ma storica: volevo, e spero di essere riuscito, aiutare tutti voi a sentire, capire, reagire”.
Non è facile, perché – prosegue il regista Leone d’Oro nel 2001 con Faust – “il Vecchio Mondo si scontra con i soliti problemi: non riceviamo risposte dai politici, le risposte semplici sono finite, e le risposte complesse non sono in grado di darle. Forse nemmeno prima erano in grado di darle, infatti non assistiamo a nessun rinnovamento nell’atteggiamento degli stati, della società, sulla base dell’esperienza del passato”.
Qual è il problema? “Nulla è cambiato dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, gli scrittori di cinema non hanno cambiato nulla, è un grosso danno, peccato. Eppure, la forza del cinema è quella di rivolgersi alle vostre emozioni, anime e cuori, darvi la possibilità sognare. Sì, l’anima qualcosa la può ancora dare”.
Circa la relazione tra Metternich e Jaujard, Sokurov spiega: “Come si può fare una scelta tra vita e arte, quale cosa è più sacra? Voi che cosa scegliereste? Si può fare davvero questa scelta?”. Ancora, il titolo Francofonia “viene dal mio amore per la Francia, per gli ideali francesi, una Francia che forse oggi non esiste più”.
Infine, Sokurov si rivolge alla cultura e alla sua salvaguardia, vero Leitmotiv di Francofonia: “Bisogna entrare nello sguardo dell’altro, che è la base delle culture religiose: non a caso, quello religioso è un elemento altissimo della cultura, anche se qualcuno qui in Europa mi dirà che non ho ragione. Ma noi russi vi amiamo, amiamo l’individualità della cultura europea: quando si dice Italia, Francia, si dice cultura: dovete separare le cose, non mescolatevi, altrimenti non troverete un viso unico, proteggetevi, difendetevi, difendete la vostra cultura europea”.