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“Dobbiamo riappropriarci del termine cittadino. Il problema è che gli Stati, e credo che questo si applichi a tutti i Paesi europei, cercano di non schierarsi dalla parte della gente, ma dalla parte del capitale. Il loro interesse è quello di rendere i lavoratori vulnerabili, e se ti trovi in condizioni di povertà, è colpa tua”.
Alla presentazione romana di Io, Daniel Blake – che arriverà nelle nostre sale il 21 ottobre distribuito da Cinema – non si parla solo del film, si affrontano i problemi sociali. Il regista inglese Ken Loach si schiera ancora una volta dalla parte del lavoratore: “I posti di lavoro non ci sono. E i pochi che ancora esistono, sono talmente precari che non consentono un salario adeguato e una vita dignitosa”. È il destino di Daniel Blake, ma anche di milioni di persone del nostro tempo.
I, Daniel BlakeBlake è reduce da un infarto e i medici sostengono che non può più lavorare. Ma lo Stato non è dello stesso parere. Complice la solita burocrazia, sostiene che il cinquantanovenne di Newcastle non ha i requisiti per ottenere i sussidi e deve tornare a guadagnarsi da vivere con le sue sole forze. “Il Governo – prosegue Loach – sa perfettamente quello che fa e la complessità del sistema è architettata ad hoc, per intrappolarci. Le persone che lavorano all’interno di questa struttura hanno istruzioni precise circa il numero di sanzioni che devono applicare ogni settimana. E verranno punite se non raggiungono il numero prefissato. Dunque è una decisione pienamente consapevole quella di punire le fasce più deboli della società.”
Film militante, Io, Daniel Blake ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes e il Prix du Public al Festival di Locarno. Loach racconta l’esistenza proletaria di un uomo comune, che non può sperare nell’aiuto delle istituzioni. Il suo Paese gli volta le spalle e anche l’UE. “L’Unione Europea è un’entità economica non a favore dei lavoratori” – sostiene il regista, che aggiunge: “È mossa dalle grandi aziende, promulga delle direttive a favore della privatizzazione e contro gli interessi e i progetti pubblici”. Ma lo scenario non è così nero, c’è ancora la possibilità di recuperare, e Loach lancia le basi per un’Europa migliore. “Potremmo evitare che i lavoratori siano messi gli uni contro gli altri in una guerra a chi si svende di più. Potremmo creare delle comunità che siano sostenibili e che siano in grado di produrre ciò di cui hanno bisogno. Potremmo pianificare un insieme di termini commerciali equi. E dovremmo sostenere l’ONU e riconoscere l’autorità di questa organizzazione a livello mondiale”.
Poi torna in ballo il cinema: “Questo film è nato dall’indignazione, dalla rabbia che Paul Laverty (sodale sceneggiatore di Ken Loach, ndr), io e tutti quelli che hanno partecipato al progetto, abbiamo sentito. Ci siamo resi conto di quanto colpevolmente abbiamo lasciato che la situazione arrivasse a questo punto. Ma fare un film è anche il piacere di fare il cinema. Cercare di far emergere la verità attraverso la fotografia, le luci e poi il montaggio. È la gioia di fare il cinema che ci spinge a lavorare”. Parola di Ken Loach.