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“Un bambino è meglio di una pistola”. E’ una delle tante battute dette da Riccardo Scamarcio ne Il ladro di giorni, in uscita nelle sale il 6 febbraio distribuito da Vision, che lo vede protagonista insieme al giovane Augusto Zazzaro, di un viaggio on the road alla riscoperta del suo ruolo di padre.
Il film è diretto dal napoletano Guido Lombardi (Là-bas – Educazione criminale, Take Five) tratto dal suo omonimo libro (edito da Feltrinelli) e racconta appunto la storia di un incontro: quello tra un padre (Scamarcio), un ex delinquente, uscito di prigione dopo sette anni, e un figlio (Zazzaro), ormai undicenne.
Lungo questo viaggio (di vendetta per l’ex detenuto) dal Trentino alla Puglia, entrambi impareranno a conoscersi e soprattutto a crescere.
“Mio padre faceva il giudice e un giorno mi portò nel suo ufficio. Mi resi conto che aveva una vita altra rispetto a quella che aveva in famiglia. Una considerazione da cui poi è nata l’idea per questa storia, che è totalmente di fantasia”, racconta il regista.
E sul rapporto padre-figlio Riccardo Scamarcio: “E’ un tipo di rapporto ancestrale, fondamentale per ognuno di noi. Ho avuto un’ottima relazione con il mio che ho perso qualche anno fa. Un lutto che in questo film ho in qualche modo rielaborato”.
Il ladro di giorni è dunque un melodramma sui sentimenti che sfocia nei territori del noir con al centro questa coppia un po’ “picaresca” che inizia piano piano a volersi bene. “All’inizio sono diffidenti l’uno dall’altro- prosegue Scamarcio-. L’amore c’è, ma non si toccano mai e non si abbracciano. Mi piaceva questo padre, mezzo criminale, che esce dal carcere e va a riprendersi questo bambino per compiere un ultimo colpo. Durante questo viaggio poi scopre che quel bambino è un individuo, è in gamba, è intelligente e quindi può essere anche un amico e un alleato”.
Si dice che al cinema la cosa più difficile sia recitare al fianco di bambini o con gli animali. Lo è stato? “E’ vero perché sono imprevedibili, però io adoro gli incidenti”, risponde Scamarcio, che poi racconta: “Augusto era una spugna, dopo due settimane faceva tutto alla perfezione. Gli animali e i bambini sono fantastici perché si lasciano andare. Anzi, lui era fin troppo diligente, ma io ho cercato di farlo andare a briglia sciolta. Non parto mai dall’idea prestabilita di una scena e mi lascio andare a quello che accade. D’altronde il cinema è fatto di corsari, i ragionieri non lo possono fare”. Nel cast, a parte Augusto Zazzaro alla sua prima esperienza, figura anche Massimo Popolizio.
A differenza del romanzo nel quale è messa più a fuoco la figura del bambino, nel film ha maggiore spazio il padre. Come mai? “Il libro è più esaustivo e lì mi sono calato completamente nella figura di questo ragazzino di undici anni- risponde il regista-. Al cinema era inevitabile focalizzarsi di più sull’ex delinquente desideroso di vendetta. Le immagini d’altronde hanno una potenza evocativa tale che la pagina scritta non può avere”, risponde il regista.
Tra Lombardi e Scamarcio c’è stato un rapporto “piuttosto conflittuale”. “Era la prima volta che mi confrontavo con un attore con un’esperienza così grande alle spalle. Tra i vari consigli mi ha dato quello di gridare ‘Azione’ in modo più incisivo”. E Scamarcio, che a marzo vedremo nuovamente sul grande schermo con Magari e poi ad aprile in Tre piani di Nanni Moretti, conclude: “Se con Guido Lombardi mi lamentavo al quarto ciak, potete solo immaginare cosa facessi con Moretti al quarantesimo”.