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Il 23 e il 24 gennaio in sala con Nexo Digital, il 13 e 14 febbraio in prima serata su Rai Uno, è Fabrizio De André Principe libero, diretto da Luca Facchini, scritto da Giordano Meacci e Francesca Serafini, interpretato da Luca Marinelli (Faber), Valentina Bellè (Dori Ghezzi), Elena Radonicich (la prima moglie Puny).
Pruduzione Bibi (Angelo Barbagallo) E Rai Fiction, del cantautore scomparso l’11 gennaio 1999 vengono passati in rassegna circa 40 anni, dalla sua prima chitarra donatagli dal padre Giuseppe (Ennio Fantastichini) all’Hotel Supramonte composto dopo l’esperienza del sequestro, lui e Dori, in Sardegna nel 1979.
Il De André che conosciamo, tra carruggi e graziose, musica e poesia, bicchiere e sigaretta, Paolo Villaggio (Gianluca Gobbi) e Luigi Tenco, i figli Cristiano e Luvi, l’anarchia e l’arte, l’arte e gli ultimi.
Marinelli, che ritrova Meacci e Serafini dopo Non essere cattivo e la Bellè dopo Una questione privata, ricorda: “In quel periodo mi sono sentito un uomo migliore, tornare a me è stato abbastanza deludente”. Voce e talvolta chitarra, nel film, tra gli latri, esegue La ballata dell’eroe, Il pescatore, Canzone dell’amore perduto, Se ti tagliassero a pezzetti, e senza sfigurare.
Tinni Andreatta, di Rai Fiction, sottolinea: “Ogni film è un tradimento, tradire per essere fedeli all’essenza: le canzoni ci portano dentro, una condizione artistica che ha reso questo film diverso dal solito. Luca Marinelli è un protagonista fuori dagli schemi, incarna l’anima senza cadere nel mimetismo. In questa storia ci ha portato per mano Dori, ci ha permesso di sentire il cuore pulsante di questo spaccato di vita”. Replica Dori Ghezzi, seconda moglie e custode della memoria di Faber: “E’ stato un film molto dibattuto, fatto da persone che hanno incontrato Fabrizio tanti anni prima, sono cresciuti con le sue musiche, stando attente al Fabrizio uomo: Giordano, Francesca e anche Facchini, tramite Fernanda Pivano. Io ho voluto dare fiducia anche a dei giovani, come ha fatto Fabrizio con Piovani e De Gregori”.
Della gestazione Dori sottolinea: “In certi casi han dovuto convincere me, in altri io loro, siamo tutti scesi a compromessi, non conoscevo la drammaturgia cinematografica, a volte per seguire il flusso bisogna tradire la realtà”. E sulla scelta di Marinelli: “Abbiamo aspettato tanto tempo per trovare lui, era la persona più credibile, l’ho capito subito vedendo Tutti i santi giorni, e da lì ho inteso che poteva avere le caratteristiche e la sensibilità per entrare nel ruolo di Fabrizio”. “Ma tutti gli attori sono straordinari – prosegue – mia cognata si è commossa vedendo Davide Iacopini interpretare suo marito Mauro De André: a sto punto, mi sono detta, non abbiamo commesso tanti errori”.
Marinelli rammenta di aver provato “terrore puro. Non avevo idea di cosa fare, ero terrorizzato, ho pensato che la cosa migliore da fare fosse creare un personaggio in questo universo parallelo di finzione, creare un De André che non era De André: questo mi ha dato più tranquillità. E ringrazio Dori, mi ha tenuto per mano, c’erano momenti in sala d’incisione in cui avrei voluto essere in tutt’altro posto”.
Se la sceneggiatrice Serafini rivela come “per noi Faber era una specie di dio, qui correvamo il rischio di farne agiografia, allora abbiamo capito che la strada da seguire era quella della sua Buona novella: lui c’era riuscito con Gesù Cristo, e allora noi potevamo farlo con lui, lasciando da parte i miracoli che sono le sue canzoni”, la Radonicich parla di “un progetto ammantato d’amore dal principio, noi un gruppo incredibile, ci siamo mossi come un flusso, nessuno mai solo” e la Bellè rivela “l’imbarazzo di avere il proprio personaggio seduto dietro il monitor, sul set”.
Infine, Dori Ghezzi su un attore romano, Marinelli, per De André e, più in generale, sulla mancanza o penuria di interpreti genovesi nel cast di Principe libero: “Avessimo dovuto aspettare un attore genovese, magari saremmo ancora qui. E poi De André aveva un accento neutro, se scherzava lo faceva in gallurese o napoletano, sia lui che Villaggio erano nati a Genova, ma erano figli dell’universo: toglietevi dalla testa questa cosa dell’accento”.