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“Sono davvero triste per quello che sta accadendo al popolo ucraino. L’Iran è considerato un po’ una colonia russa e il governo del mio paese oggi appoggia il governo di Putin. Ma gli iraniani la pensano diversamente e provano grande empatia per gli ucraini”. A parlare è Mohammad Rasoulof che, in collegamento Zoom, ha presentato il suo nuovo film: Il male non esiste.
Orso d’Oro come miglior film alla Berlinale 70 e in sala dal 10 marzo distribuito da Satine Film, l’ultimo capolavoro del pluripremiato regista iraniano riflette sul tema della pena di morte e sulla responsabilità delle persone coinvolte nella sua esecuzione. Sono quattro storie collegate da un sottile filo rosso che affrontano una questione fondamentale della società iraniana e di tutti quei paesi costretti ad accettare la pena di morte come pratica costante e consolidata.
Non si parla dunque direttamente di Ucraina, ma come sottolinea Rasoulof il tema è affrontato in modo indiretto: “In queste quattro storie parlo comunque di responsabilità individuale. Ci pongono di fronte a una domanda alla quale tutti dobbiamo rispondere: al posto loro cosa avresti fatto? E nel caso dei soldati russi ci si deve porre questa domanda: perché sono costretti ad obbedire e a partecipare a questa guerra sparando ad altri uomini?”.
Il male non esisteRasoulof è stato condannato nel 2010 dalla corte rivoluzionaria iraniana ed è sempre stato censurato dal suo Paese nel quale nessuno dei suoi film è stato mai stato distribuito.
“Essere censurati è una cosa che conosco molto bene- racconta-. La censura deforma la realtà ed è davvero doloroso sentire tante notizie false. È come una tenda che isola il popolo iraniano dal resto del mondo. In Iran la censura crea una realtà fittizia ed ha a che fare con la vita quotidiana di tutti i cittadini”. Per cui compito dell’artista secondo Rasoulof è proprio“sparare la luce sul buio”.
E sulle censure degli artisti russi, non ultima l’esclusione della Russia dal Festival di Cannes e delle opere di autori russi dall’Efa (European Film Market), commenta: “Essere russo o iraniano non significa essere davvero uniti al regime che si trova in quel Paese. Una cosa è proibire un’opera che nasce come espressione del regime, altra cosa è impedire ad un artista di partecipare. In quest’ultimo caso il discorso è più complesso. Non è infatti detto che questo artista condivida le idee del suo Paese”.