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In pochi giorni, Pawel Pawlikowski passerà dal trionfo agli EFA all’uscita nelle sale italiane di Cold War (dal 20 dicembre sui nostri schermi, distribuito da Lucky Red), il mélo storico e musicale che dopo il premio per la miglior regia a Cannes ha vinto 5 European Film Awards tra cui quello per il miglior film: “Sono felice - dice Pawlikowski subito dopo la vittoria a Siviglia - di essere tornato in Europa dopo aver presentato il film nel mondo e di aver preso un premio qui, da gente del cinema europeo. Questo premio mi commuove perché in Europa non c’è la follia promozionale che c’è negli States, anche per quanto riguarda i premi. È come essere tornato a casa dopo molto tempo”.
Pawlikowski, che nel frattempo sta lavorando a un progetto su Limonov e la biografia tratta da Carrère (“Ma potrebbe anche non andare a buon fine, per cui preferisco non parlarne”), racconta il suo rapporto con la sceneggiatura e l’importanza della scrittura nei suoi film: “Ovviamente tra quello che scrivo e ciò che poi giro c’è differenza, la sceneggiatura che trascrivo dal film è diversa da quella che ho in mano per le riprese, in questo caso era più lunga di 25 pagine. È anche la bellezza artigianale dello scrivere e del raccontare. Riscrivere e riscrivere permette di ampliare la storia, e ciò che racconti è davvero la cosa più importante per cui poi dopo gli trovi la forma che gli si adatti al meglio: sia bianco e nero, colore o 3d”.
Ispirato per Cold War dalla storia dei genitori e dalla musica folk che hanno reso il suo racconto passionale tanto quanto Ida era freddo ed ellittico, Pawlikowski parla dell’Europa tra gli anni ’40 e ’50 per pensare anche al presente: “Sicuramente il racconto della fuga dallo stalinismo ha degli echi rispetto alle tendenze autoritarie della Russia contemporanea e non solo. Non bisogna esagerare, lo stalinismo è morto, ma bisogna essere consapevoli di ciò che si muove nel mondo, anche nelle relazioni personali. Ho fatto un film non pensando alla cronaca o ai giornalisti, ma alle emozioni che attraversano il tempo e lo spazio”.
E a chi tra i giornalisti gli chiede il perché di un finale così evocativo e simbolico (che ovviamente non riveliamo per chi vedrà il film), Pawlikowski risponde: “Non ho scelto la fine, è la fine che ha scelto me, quel finale era davvero per me il punto di partenza della storia”. E gli Oscar europei potrebbero essere per il regista polacco il punto di partenza per una stagione dei premi la cui destinazione finale sembra Los Angeles e la notte degli Oscar.