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"Senza i film saremmo impazziti". E' questa l'incredibile vicenda dei fratelli Angulo, soprannominati i "Wolfpack" (il branco): sei maschi e una ragazzina, hanno trascorso tutta la loro vita rinchiusi in un appartamento del Lower East Side di Manhattan. Così ha deciso loro padre, il peruviano Oscar, troppo preoccupato dei pericoli che la metropoli avrebbe potuto nascondere per loro. E così, senza nessun appiglio col mondo esterno, tutto ciò che i fratelli Angulo conoscono - oltre agli insegnamenti della mamma Susanne, ex hippie del Midwest - proviene dai film che guardano in maniera ossessiva e che ogni volta rimettono in scena meticolosamente, ricostruendo attrezzature sceniche e costumi fatti in casa. Fino a quando Mukunda, il quarto dei fratelli, indossando la maschera del temibile Michael Myers di Halloween, non decide di uscire: da quel momento le dinamiche familiari sono cambiate, e con loro i rapporti di forza nei confronti del padre. Tutti i ragazzi hanno iniziato a sognare di avventurarsi all'esterno...
Il potere del cinema di trasformare e salvare delle vite: è questo il fulcro dell'opera prima di Crystal Moselle - The Wolfpack (Il branco), appunto - vincitrice del Gran Premio della Giuria al Sundance e ora ospitata in Alice nella Città alla Festa di Roma, dal 22 ottobre in sala con Wanted e il 23 ottobre in onda su Crime+Investigation (canale 118 di Sky). Ed è quello che ribadisce Govinda Angulo, a Roma con il fratello gemello Narayana: "I film amplificano la vita, traducono i sogni in un modo altrimenti impossibile. I film racchiudono l'essenza stessa della vita, mentre la vita è semplicemente... vita". Scoperta tardivamente, però, anche grazie all'incontro con Crystal Moselle: "L'abbiamo incontrata una delle prime volte che uscivamo da soli. Noi, capelli lunghi e vestiti come i protagonisti delle Iene, l'abbiamo incuriosita. Ci ha chiesto chi fossimo, ci ha detto che era una regista e gli abbiamo detto che anche noi amavamo molto il cinema. Ci siamo frequentati per otto mesi, dopodiché ha iniziato a chiederci qualcosa sulla nostra vita e ci ha detto di volerne fare un documentario", dice ancora Govinda, che però non ha ancora visto il film: "Io e Narayana siamo gli unici due fratelli che ancora non l'hanno visto. Per me è ancora troppo presto tornare a quel periodo della nostra vita".
Che inevitabilmente la regista cerca invece di riportare a galla, ma senza intromettersi nelle dinamiche della loro esistenza o dei rapporti con i genitori, specialmente con il padre: "Quando sono entrata nella vita di questi ragazzi avevano già iniziato la loro ribellione contro il padre. Quello che ho fatto è stato solo incoraggiarli a esplorare i loro interessi nel mondo del cinema, aiutandoli a ottenere stage e presentandoli a persone dell'industria cinematografica". Il loro sogno, dopo essere diventati protagonisti di un film che li racconta, è proprio quello di poter realizzare presto un lungometraggio. Nel frattempo, come spiega bene Narayana, continuano a fare maggiore conoscenza del mondo: "Fare questo film è stato fondamentale per poter familiare maggiormente col mondo esterno. I VHS o DVD che vedevamo erano l'unica finestra sull'esterno che avevamo. Poi, improvvisamente, siamo passati da un estremo all'altro: adesso giriamo il mondo per andare ai festival...".