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Gabriele Muccino ha presentato oggi a Roma Padri e figlie, il suo quarto film americano dopo La ricerca della felicità, 2006; Sette anime, 2008; Quello che so sull’amore, 2012.
In conferenza stampa il regista romano ha ripercorso in breve il tragitto che, dopo un inizio di carriera in Italia, lo ha portato negli Stati Uniti. “Quando ho saputo che Will Smith voleva incontrarmi, sono volato subito da lui e in un attimo ho scavalcato una schiera infinita di giovani in attesa di diventare registi. Non ho dovuto frequentare le piccole produzioni, non ho aspettato di vincere qualcosa al Sundance. Perché Smith mi abbia scelto è un mistero che non mai risolto. Fatto sta che mi sono trovato in una produzione della major Columbia, con un budget da 60 milioni di dollari e con un prodotto finale che pensavo sarebbe stato un flop. Il successo invece ma ha permesso subito dopo di dire alcuni ‘no’ e di accettare solo copioni che avevano da raccontare qualcosa in comune con la vita vera.
Le mie scelte originarie non sono infatti cambiate: mi sento in sintonia con un cinema che guarda a Zavattini, Age e Scarpelli, Bob Fosse, Woody Allen, Midnight Cowboy. Sono tutti film ormai irripetibili. Oggi in America si fanno film partendo da Marvel, da Hunger Games, film da libri molto popolari. Il cinema americano si sta avvitando su se stesso, è un momento di transizione come ce ne sono stati in passato. Per quanto mi riguarda, io non credo nei vampiri, perché dovrei fare quel genere di film? Faccio invece film d’arte (così si definiscono in USA) e quando ci riesco sono felice. Ritengo che il cinema drammatico sia stato scippato dalla TV, da Netflix e simili. Ripensando ai miei film precedenti, per il mio terzo film USA ho fatto l’errore di accettare una sceneggiatura nella quale non sono potuto intervenire.
Nel caso di oggi invece, mi sono innamorato subito del copione, una storia complicata con sottotrame che si intrecciano, tocca zone dell’inconscio come un’onda che cresce mentre va avanti. A rivederlo mi commuovo perché tocca situazioni e sentimenti che non sappiamo dove possono arrivare, interrogativi e incertezze raccontati in modo onesto.
E’ vero, ho fatto tre film incentrati sulla paternità, e anche Sette anime secondo me, sfiorava il tema. E’ un argomento che mi tocca da vicino, ma posso aggiungere che è l’ultimo, perché non riuscito a farne un altro bello come questo. Il finale originario era diversissimo da quello che si vede, ma io l’ho voluto così e non dirò niente su le alternative. Per il ruolo di Katie c’erano alcuni nomi in lizza. Ho incontrato Amanda Seyfried e l’ho scelta perché dietro la sua indecisa fanciullezza c’ è un mondo da scoprire. Il ruolo di Kate è scivoloso, ho avuto paura perché la donna che va con molti uomini si rende antipatica e rischiava di allontanare il pubblico. Abbiamo girato prima la parte di Amanda, poi è arrivato sul set Crowe con la stanchezza dei suoi lavori precedenti. Gli ho fatto vedere a lungo esempi di convulsioni e crolli psicotici. E’ entrato subito nel ruolo, serio e concreto come il gladiatore, un gigante di attore.”
Distribuito da 01, Padri e figlie esce in sala il 1 ottobre in 400 copie.