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24 aprile la prima parte, 12 maggio la seconda: di due date un film, Loro. Ancor prima di guardarci dentro, ché complice teaser e trailer un po’ l’abbiamo fatto, il nono film - considerando nel novero The Young Pope – di Paolo Sorrentino stupisce per il timing. Due capitoli, à la Nymphomaniac per durata, e un’uscita in sala, à La meglio gioventù per cadenza: inaudito? No. Inedito? Forse.
C’è da chiedersi se il problema sia di montaggio, eppure Cristiano Travaglioli è bravissimo (La grande bellezza versione integrale durava 172’, 30 in più di quella definitiva, ricordate?), o se più che necessità poetica sia opportunità commerciale, fatto sta Loro è uno e bino, e in mezzo ci sta il festival di Cannes, dove planerà fuori concorso. L’operazione, tatticamente se non strategicamente, è mirabile: il primo capitolo Loro 1 crea l’hype, preparando diegeticamente e non l’avvicinamento a Lui, Berlusconi; il secondo capitolo Loro 2, in cui Lui da oggetto di valore diventa soggetto di visione, calamiterà l’attenzione della Croisette, nuovo di pacca e insieme già (pre)visto.
Il dubbio ferale, semmai, è un altro, che il déjà-vu sia la cifra poetico-stilistica, giacché il binomio Toni Servillo, cui tocca l’incombenza di Berlusconi, e Paolo Sorrentino avevano già dato ne Il Divo (2008) e La grande bellezza (2013) con temperie, humus e mood non troppo dissimili, anzi. Politica e società, e quali novità potremmo mai aspettarci in questa terza e forse sintetica prova?
La grande bellezza era, ed è, un tema libero su un (non) argomento uso e usurato, se non vieto: funzionava, più che convincere, soprattutto perché reificava un’immagine, a metà tra cafonal e grand tour millennial, accomodante per noi italiani, addirittura irresistibile per gli stranieri, da cui l’Oscar quale miglior film straniero e il trionfo agli Efa.
Più interessante, nel Divo Sorrentino istituiva una dissonanza tra la persona Andreotti, e la nostra agenda emotiva al riguardo, e la sua abituale chiave poetico-stilistica ultrapop: forma (cinematografica) e figura (biografica) si strattonavano, il surplus era di senso.
Capite bene, non così sarà nel caso di Berlusconi, almeno a dar retta al teaser: belle donne ancheggianti (Kasia Smutniak), semi-soggettive di bunga bunga, Veronica Lario (Elena Sofia Ricci) metaforicamente reclusa nel box di un tappeto elastico, il cane Dudù e i tanti trofei calcistici vinti col Milan, tanto che Loro potrebbe indicare davvero quei due film, Il Divo e La grande bellezza, e non questo dittico. Anche la voce, di Servillo per Berlusconi, non consuma strappi, cerca la mimesi, pardon, l’imitazione: a separarli, del resto, sono già i centimetri, 16, compresi tra i 181 d’altezza di Toni e i 165 di Silvio. Dunque, l’evidenza, quasi apodittica, e molto gambardelliana: “Ma te che cosa ti aspettavi, di poter essere l'uomo più ricco del paese, fare il premier e che – gli chiede la voce over di Fabrizio Bentivoglio - anche tutti ti amassero alla follia?”, e Silvio acconsente, “Sì, io mi aspettavo proprio questo”.
Viceversa, dovremmo noi aspettarci qualcosa di diverso da Loro, e quindi da Sorrentino, e dunque del Silvio Berlusconi per come lo conosciamo e lo consociamo nell’immaginario collettivo. Paolo l’aveva detto, “Sono interessato all’uomo che sta dietro il politico”, e la seconda parte ne è il precipitato: un B. nostalgico e perfino puerile, ferito ma non domo, che cerca di riconquistare Veronica. E anche il potere, ovvio. Ma 17 anni dopo, per Sorrentino e Servillo è ancora L’uomo in più: qualcosa e qualcuno in più, rispetto alle nostre consolidate certezze.
(Originariamente pubblicato sul numero di aprile della Rivista del Cinematografo)