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Non mancano coincidenze, rimandi, assonanze, nella dipartita di Gigi Proietti. Il 2 novembre in cui avrebbe compiuto, e ha compiuto, ottant’anni, il 2 novembre che è il Giorno dei Morti, il 2 novembre 1940 e il 2 novembre 2020, come il 23 aprile 1564 e il 23 aprile 1616 per il suo Shakespeare.
Anima di Roma, per chi ha orecchi per intendere qualcosa, pardon, qualcuno di uguale e contrario a Sordi, mattatore gentile, verticale per levatura e orizzontale per empatia, oltre gli steccati di medium, teatro, cinema, tv, oltre le clausole di fruibilità, alto, basso e tutte le vie di mezzo, senza mediocrità.
La presa in carico di Petrolini e del Bardo nel cuore di Roma, al Globe Theatre, l’istrionismo educato, l’essere che metteva in difetto l’interpretazione, sicché vale per lui quel che Tullio Kezich disse di chi l’ha preceduto ad plures di un giorno, Sean Connery: “Connery è sempre Connery. Ovvero un attore che ogni volta riesce a illuderti di avere incontrato un essere umano”.
L’eleganza per tratto, la curiosità per genoma, l’eccesso solo per canovaccio, e quasi malvolentieri: Proietti ha proiettato di sé una sostanza, più che una forma, un’identità più che un’immagine, e il suo pubblico – verrebbe da dire, il suo popolo – l’ha capito, ne ha fatto tesoro, con le risate e la commozione che lasciano le risate per ex voto.
Ci ha fatto prendere la Febbre, da cavallo, ci ha invitato, con Vittorio Gassman, al Matrimonio officiato da Altman, ci ha presentato Caravadossi, nella Tosca opus Magni, ci ha passati per l’Arma, del Maresciallo Rocca, e ora?
Ci lascia dopo un Nobel, ne Il premio del Gassmann figlio, Alessandro, dopo il Mangiafuoco, del Pinocchio di Matteo Garrone, e ci lascia un regalo, anzi, un dono postumo.
Il nuovo film di Edoardo Falcone, interpretato al fianco di Marco Giallini, che al netto della pandemia avremmo ritrovato in sala il 3 dicembre prossimo. Si chiama Io sono Babbo Natale, e Babbo Natale è lui, senza alcuna nostra sorpresa: ci crediamo, gli crediamo, colmi di gratitudine per la cultura che ha veicolato col sorriso, suo, e le risate, nostre.
Sì, era, è e sarà ancora il Babbo Natale dello spettacolo italiano, così come lo mette in scena Falcone, dunque “un amabile signore che non ha niente di valore che si possa rubare”, a parte l’arte, ma che “in compenso ha una bizzarra rivelazione da fare ad Ettore: dichiara infatti di essere Babbo Natale”. E di avere in serbo per noi un ultimo dono.