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Arnaud Desplechin - Foto Karen Di Paola
“Misogino o femminista?”. È questa la domanda che si è posto il regista francese Arnaud Desplechin prima di dirigere il suo ultimo lungometraggio dal titolo Tromperie - Inganno, proprio come l’omonimo libro del compianto Philip Roth (Deception) da lui messo in scena.
Presentato lo scorso anno nell’inedita e laterale Cannes Premiere, da poco passato alla XII edizione di Rendez Vous, manifestazione dedicata al cinema francese contemporaneo, e nelle nostre sale dal 28 aprile distribuito da No.Mad Entertainment, il film con Léa Seydoux, Emmanuelle Devos e Denis Podalydès, racconta la storia di Philip (Podalydès), scrittore “esiliato” a Londra nel 1987 insieme a sua moglie, e dei suoi costanti incontri con la sua amante inglese (Seydoux) nel suo studio.
“Racconto un uomo ossessionato dalla morte e una donna ossessionata dal suicidio che si incontrano. Lui sta invecchiando e ha una storia con una donna molto più giovane di lui, che ha una vita deludente e che vorrebbe buttarsi dalla finestra”, dice il regista. Che prima di affrontare l’adattamento del romanzo scritto dal famoso scrittore americano nel 1990 si è posto la questione sul ruolo delle donne in questa storia. “Roth in vita fu tacciato più volte di misoginia- racconta-. Avevo letto il suo libro e lo avevo distribuito alle mie collaboratrici donne perché non riuscivo a capire se fosse misogino o femminista. Mi sono identificato con il protagonista: un uomo che ascolta le donne. Ecco, penso che Roth non era di sicuro un progressista, ma tracciava dei ritratti femminili molto interessanti. In questo senso questo libro elogia le donne”.
Tromperie (Inganno) - cr. Shanna BessonE poi: “Nel film Philip è uno scrittore che si serve delle donne che incontra per scrivere le sue storie, ma allo stesso modo anche le donne si servono di lui perché riconquistano loro stesse e il proprio orgoglio attraverso di lui e così riescono a recuperare parte della loro vita”. Tra i tanti ritratti femminili c’è quello di Rosalie, una donna ricoverata in ospedale a New York, qui interpretata dall’attrice Emmanuelle Devos, musa e volto di tanto cinema di Desplechin (Tromperie è il suo ottavo film con il regista). “Interpreto una donna realmente esistita, per cui mi sono documentata molto- racconta l’attrice-. Era un’amica e un’amante di Roth ed è stata veramente malata di cancro. A livello simbolico rappresenta un po’ il tempo che passa e la paura della morte di Philip. Quindi di conseguenza l’urgenza della vita e cioè che non bisogna lasciarla correre e che è necessario cogliere l’attimo. Insomma, la vita non deve trascorrere senza averla vissuta realmente”.
Un film per certi versi teatrale. “Forse perché sono stato influenzato da Vanya sulla 42esima strada di Louis Malle che riprendeva la pièce di Čechov. Si vedevano degli americani che facevano finta di essere russi. Io ho ripreso dei francesi che facevano finta di essere inglesi, americani, cecoslovacchi. Ogni personaggio cerca di recitare una parte. Io non credo al realismo, ma credo che ognuno di noi sia un piccolo teatro e che, in modo saggio o folle, recitiamo una parte”, dice il regista. Ed è soprattutto anche un film che parla di tradimenti, intimo, e sulla fedeltà.
“È proprio questo l’argomento che volevo trattare. Io penso che, sia da soli che in un rapporto coniugale, l’importante sia rimanere fedeli a sé stessi, non agli altri. È una morale profondamente ebrea: quello che dovete lo dovete a voi stessi perché vi permette poi di esserci per gli altri”, conclude.