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Dopo la presentazione all'ultima Mostra del cinema di Venezia e la partecipazione a Castellinaria-Festival internazionale del cinema giovane di Bellinzona, il documentario L’esercito più piccolo del mondo, ultimo lavoro del regista Gianfranco Pannone, co-prodotto dal Centro Televisivo Vaticano, Solares Fondazione delle Arti, Solares Suisse e PTS Art’s Factory, arriva finalmente in sala con un tour di proiezioni, con il supporto della Fondazione Ente dello Spettacolo, nelle principali città italiane.
Prima tappa del tour sarà il 2 febbraio alle ore 18.00 presso Casa del Cinema di Roma, ospite della rassegna Italia Doc 10 (replica il 6 febbraio alle ore 18.00). L’ingresso alla proiezione è gratuito, fino a esaurimento posti. Seguirà un incontro con l'autore coordinato da Maurizio di Rienzo.
L’esercito più piccolo del mondo sbarcherà poi anche a Milano, Latina, Torino, Bologna, Parma, Pisa, Firenze, Napoli, Palermo e in altre città, per terminare di nuovo a Roma, il 30 marzo, presso il Teatro di Villa Torlonia.
Il documentario entra nel quotidiano di un gruppo di reclute della Guardia Svizzera. Ragazzi comuni, di diversa estrazione sociale e provenienza, che scelgono di fare questa straordinaria e particolare esperienza. Tra questi c’è anche René, studente di teologia in Svizzera, che durante il racconto si interroga sulla propria fede e sul proprio ruolo a difesa del Papa: cosa significa far parte di un variopinto e anacronistico corpo militare ai tempi di una figura “rivoluzionaria” come quella di Papa Francesco?
"Entrare in Vaticano” – sottolinea Pannone – “per realizzare un 'dietro le quinte' della Guardia Svizzera è stato un grande privilegio. La mia avventura nello Stato della Chiesa è durata all'incirca un anno ed è stata appassionante e rivelatrice del clima realmente nuovo creato da Papa Francesco. Per non farmi fagocitare da tanta grandezza, dal peso della Storia come dalla mia stessa fede cristiana, ho scelto di avere uno sguardo laico e al tempo stesso lontano dalla facile retorica della rappresentazione. Ci sono riuscito? Non lo so e non sta a me dirlo. Ma so per certo che ho voluto raccontare un pezzo importante della Chiesa Cattolica partendo volutamente dal basso, scegliendo due giovani reclute provenienti dalla Svizzera più profonda, Leo e René. Così come con il gruppo di lavoro del Centro Televisivo Vaticano, è stato uno scambio profondamente umano quello che è avvenuto con la Guardia Svizzera Pontificia e mi auguro che questa umanità trapeli dal film arrivando ai credenti e non; perché dopotutto fare un film con sguardo documentaristico significa anche rivolgersi a tutti con la mente sgombra da muri d'ogni genere, aperta".