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“Si gioca come si vive”, disse Nicolas Burdisso, ex-difensore della Roma che il tifosissimo giallorosso Valerio Mastandrea cita spesso. E lo ha citato anche oggi presentando al Torino Film Festival il suo primo lungometraggio da regista (e unico nostrano in concorso, dal 29 novembre su 110 schermi con 01 Distribution) ossia Ride, storia della vedova di un operaio morto sul lavoro che dove fronteggiare chi la circonda - dalla famiglia ai mass media - e la propria difficoltà a piangere di quella morte.
“Mi rispecchio in quella frase del calciatore: molti film raccontano molto dei loro autori. Qui c’è il mio tono, le mie contraddizioni. È un mestiere con cui entri in grande contatto con te stesso e con il mondo che ti circonda” dice Mastandrea che ci tiene a fare film come si vive, a raccontare ciò che lo tocca nel profondo: “Il punto di partenza è il racconto di come nel nostro mondo sia difficile entrare in contatto con le emozioni, sia la gioia sia il dolore, con la spontaneità dell’emozione. Siamo bestie che ci differenziamo proprio attraverso le emozioni”. E il film indaga le “colpe” e i condizionamenti sociali rispetto alla libertà di vivere il dolore nel modo che si ritiene più opportuno, anche attraverso una risata, paradossalmente.
Sottofondo scorre il tema delle morti bianche e degli incidenti sul lavoro, caro a Mastandrea fin dal suo primo corto scritto con Daniele Vicari, Trevirgolaottantasette: ” La morte sula lavoro è qualcosa a cui ci siamo abituati, è il simbolo dell’ipocrisia di una società che la piange ma non la ferma. ‘Si muore in guerra non al lavoro’, si dice a un certo punto, ed è questo che impedisce ai personaggi di vivere il dolore. La situazione esterna rende la morte ancora più assurda”.