“Conciliare action e commedia all’italiana, per creare qualcosa di insolito per il nostro cinema”. Parola del regista Sydney Sibilia, che il 2 febbraio, distribuito da 01 su 500 schermi, porta in sala Smetto quando voglio - Masterclass, primo dei due sequel del suo fortunato esordio omonimo del 2014. Prodotto da Domenico Procacci e Matteo Rovere, nel cast gli abituali Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti e Valeria Solarino, cui si aggiungono Marco Bonini, Rosario Lisma, Giampaolo Morelli, Luigi Lo Cascio e Greta Scarano: a loro il compito di riportare sullo schermo la banda dei ricercatori guidata da Pietro Zinni (Leo), stavolta disposta a scendere a patti con la legge per arrestare lo spaccio di smart drugs in cambio della libertà…
Un action comedy, dice Sibilia, in cui ritroviamo “la comicità, la nostra, che ha bisogno di parlare molto. Sono orgoglioso della sequenza del treno che concilia così bene comicità e azione: i sidecar nazisti sono quelli di Indiana Jones, i veicoli quelli anni ’70 analogici, ho usato poco CGI”. Venendo al messaggio di Smetto quando voglio – Masterclass, il regista confida che “c’è ancora speranza, io sono ottimista: ho deciso di fare due film per dire che non è così male, c’è ancora speranza”.
Tra gli attori, parla il capo della banda, Leo: “Ho letto il copione: dovevo fare a cazzotti sul treno con Lo Cascio, guidare un sidecar nazista sulla Cristoforo Colombo, come fai a dire di no? Puoi tirare fuori la tua parte di adolescente che andava a vedere Indiana Jones…”. Anche lui fa voto di ottimismo: “Se i giovani italiani non hanno altra opportunità che fare una banda siamo messi malissimo: è solo un pretesto di racconto, non credo sia un suggerimento, non c’è scritta ‘fatelo a casa’…”.
Se per Sermonti “dalla commedia intima si esplode nell’azione: per un attore italiano è un esercizio molto interessante”, Calabresi sottolinea condivisibilmente come Smetto quando voglio sia “un action comedy che non va mai nel grottesco e surreale, ovvero le abituali mete dove si rifugiano i cinematografari quando non sanno più far ridere”.
Infine, sul versante produttivo, Rovere parla di “un film molto complesso per la cinematografia italiana, capace di offrire sequenze action in una comicità basata su dialoghi. Ho girato due film insieme, per ottimizzare le risorse dal punto di vista produttivo: abbiamo messo in scena qualcosa che lo spettatore italiano non è abituato a vedere”. Sulla stessa lunghezza d’onda, Procacci: “Il vero rischio del film non sta nella miscela di azione e commedia, bensì nella sua concezione: non un sequel, ma due”, perché - conclude Rovere – “abbiamo voluto creare un universo all’interno del quale lo spettatore si possa muovere longitudinalmente e possa ricostruire ex post dinamiche di racconto. Abbiamo giocato con i rimandi, con il metatesto”.