"E un film incentrato su una contraddizione in termini: un buddhista che predica l’odio", spiega il cineasta francese. Che porta in Italia, dal 21 marzo, il suo ultimo lavoro
“Nella mia vita ho perso progressivamente tutte le mie convinzioni politiche e religiose. L’ultima è che il buddismo è una religione come tutte le altre e contiene in sé anche il male”.
Parola del regista francese Barbet Schroeder che oggi ha presentato il suo film Il venerabile W. (Wirathu) su un monaco buddhista altamente influente in Birmania che ha incitato i suoi seguaci all’islamofobia conducendoli verso l’odio e la distruzione.
“L’idea di questo film nasce da lontano - spiega il regista -. Due anni fa rilessi The Historical Buddha di Schumann e poi mi trovai di fronte a un rapporto della Yale University Law School che richiedeva pubblicamente l’intervento delle Nazioni Unite in Myanmar. Vi erano elencati tutti segnali che lasciavano presupporre nel Paese l’inizio di un genocidio contro la minoranza musulmana dei Rohingya e si sottolineava il ruolo svolto da un movimento buddhista estremista. Volevo saperne di più: mi recai a Mandalay, la città più buddhista del mondo, e lì incontrai Wirathu e gli proposi questa avventura”.
Come è riuscito a coinvolgerlo? “Lo incontrai poco prima delle elezioni in Francia e gli dissi che Marine Le Pen condivideva molte delle sue idee e che probabilmente avrebbe fatto applicare delle leggi molto simili a quelle che lui era riuscito a far votare in Birmania. Volevo parlare dei problemi dell’Occidente avvicinandomi a un personaggio per il quale il buddhismo era intriso di nazionalismi e populismi. Non volevo esprimere un giudizio, ma alla fine è venuta fuori la verità”.
“Il venerabile Wirathu” è una contraddizione in termini: un buddhista che predica l’odio. In generale le religioni predicano la pace. C’è anche però chi le usa per veicolare parole d’odio che dopo un periodo di incubazione possono portare alla violenza e alla discriminazione. Come è successo in Birmania, dove sono riusciti ad annientare quasi la metà di questa piccola minoranza, costringendo più di 700mila persone ad andarsene, di cui tanti a rifugiarsi nel vicino Bangladesh.