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C'era una volta un ciclista che aveva sconfitto un tumore, era tornato in sella alla sua bicicletta e non si era più fermato: sette volte campione del Tour de France, ambasciatore della speranza e generoso benefattore: oltre mezzo miliardo di dollari girati a favore della lotta contro il cancro, per regalare ai più sfortunati il suo stesso sogno, la sua stessa speranza.
Ecco la favola di Lance Armstrong, una favola che egli stesso alimentò e romanzò (l'autobiografia It's not about the Bike). "Una storia epica, perfetta. Una storia però che non era vera", come ammise impassibile davanti ad Oprah Winfrey nell'ultima agghiacciante apparizione pubblica. Non c'era mai stata una sola tappa del Tour in cui Armstrong non si fosse dopato, in cui non avesse assunto la famigerata EPO, introdotta nella competizione dal Nosferatu del ciclismo, il dottor Michael Ferrari (sic, italiano!).
Il più grande imbroglio nella storia del ciclismo è diventato un film, The Program, diretto dal grande Stephen Frears (The Queen, Philomena) e in arrivo in 250 sale italiane dal prossimo 8 ottobre (distr. Videa): "Di ciclismo e di Lance Armstrong sapevo ben poco - racconta il regista inglese da Roma, dove ha fatto tappa per la promozione italiana -. Ho dovuto fare un corso accelerato. Ho iniziato a interessarmene dopo aver letto la recensione di un libro chiamato The Secret Race. Lo aveva scritto Tyler Hamilton, che aveva corso insieme a Lance".
Anche se la maggior parte del materiale del film proviene da un altro scritto, Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong, del cronista del Sunday Times David Walsh: "In genere non ho una buona opinione dei giornalisti, ma David era uno scettico vero, si faceva domande che il 90 per cento dei suoi colleghi non si faceva: Armstrong era un mito e il mondo sarebbe stato migliore se avesse continuato ad esserlo". Non lo era. Frears lo definisce prima "un bugiardo, uno che vuole sempre controllare tutto", poi "una personalità contraddittoria: un santo e un peccatore". Lui stesso non saprebbe sciogliere il mistero: "Orson Welles diceva che non tutto può avere motivazioni psicologiche".
Prudente anche il giudizio di Ben Foster, l'attore che interpreta il ciclista: "Ho cercato di incontrare Lance Armstrong ma lui non ha voluto saperne. Ho dei sentimenti contraddittori nei suoi confronti. E' vero che ha imbrogliato, ma era un periodo in cui quasi tutti i ciclisti si dopavano. E non dimentichiamoci che ha fatto anche del bene, raccogliendo molti fondi per la ricerca sul cancro. "Foster conferma di avere fatto uso di EPO durante la lavorazione: "Dovevo capire come cambia il corpo, ma è stata un'assunzione sempre monitorata dai medici. In effetti funziona, vai più veloce. Lo dice uno che prima del film non sapeva nemmeno andare in bicicletta".
E in fondo è il doping, quel truccare la partita, il vero protagonista del film: "Il mio non è un biopic ma una crime story - conferma Armstrong- . Un film come quelli che voi italiani facevate una volta, un film alla Francesco Rosi. Oggi il mondo del ciclismo è più controllato ma nuovi Armstrong rinascono ovunque, basta leggere i giornali. Non passa giorno che non esca qualche storia fantasiosa di corruzione. Solo che è tutto vero! E' incredibile". Perciò "la realtà è così intrigante per il pubblico - conclude Frears - e faccio soprattutto film tratti dalla cronaca. Oggi Cary Grant e Audrey Hepburn sarebbero disoccupati ed è un peccato: tutto sommato io continuo a preferire l'immaginazione".