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“Ho girato un film che si chiama Neruda e ancora non so spiegare chi sia davvero quest’uomo. Pablo Neruda è un personaggio affascinante. È sfuggente, inafferrabile e non lo si può fermare o definire. Nel 1947, il mondo era completamente diverso. Allende si era candidato come presidente per tre volte e, alla quarta, Neruda doveva prendere il suo posto. Ma si è fatto da parte. Quindi mi chiedo come sarebbe stato il Cile con quest’uomo al governo”. Così Pablo Larraín presenta Neruda a Roma, confermando che il film rappresenterà il Cile alla prossima cerimonia degli Oscar. Nelle sale italiane uscirà il 13 ottobre in 80 sale, distribuito da Good Films.
“Quando si gira un film storico, bisogna considerare cosa è successo dopo i fatti che si narrano. Questa è un’opera sulla devastazione dell’anima di un popolo. Il Cile sognava un mondo che non si è mai concretizzato. Quando Neruda ha vinto il Nobel, ha dichiarato di non sapere se quei due anni di fuga li avesse sognati, scritti o vissuti. E questa è la chiave. Il film non è incentrato sulla figura di Neruda, ma sul cosmo nerudiano, sul suo universo. È un personaggio troppo vasto per essere rinchiuso in poco più di cento minuti.”
Larraín ha lavorato sul progetto per cinque anni e non si risparmia nel parlare del suo personaggio: “Ho letto diverse biografie su di lui. Alla fine ne abbiamo scelte tre su cui lavorare e abbiamo intervistato molte persone che l’hanno conosciuto. Neruda era un grande amante della cucina, del vino e delle donne, e ha girato il mondo come diplomatico e poeta. Tutto questo mi terrorizzava. All’inizio avevo una paura enorme nel doverlo affrontare in tutte le sue sfaccettature. In Cile, Neruda è ovunque: nell’acqua, nella terra e nelle piante. Ha fatto la mappa del suo Paese e io lo porto dentro di me, nel sudore e nel sangue. Questo film è un canto all’uomo, un poema che un giorno avrebbe potuto leggere”.
Neruda si concentra sui due anni di fuga del grande poeta. Nel 1948, il Senatore Pablo Neruda accusa il governo di tradire il Partito Comunista. Il Presidente Videla ordina il suo arresto e il beniamino del popolo scappa. Comincia una latitanza che si concluderà al confine con l’Argentina. A braccarlo, c’è il Prefetto della Polizia Oscar Peluchonneau. “Questo film è un road movie che va contro le regole del biopic. Abbraccia i noir degli anni Cinquanta e cerca di avere un tono ironico, ma è anche un’opera sulla comunicazione. Ho voluto mostrare come il personaggio è cambiato nel tempo. Non è molto importante la destinazione, ma il viaggio che il protagonista compie. La figura del poliziotto fornisce un senso alla latitanza di Neruda. Hanno bisogno l’uno dell’altro. È una storia d’amore pura, tutto il resto è una scusa per raccontarla.”
Alla fine il regista rivela qualche aneddoto sulla genesi del film. “Mio fratello, che è il produttore, un giorno mi chiede di togliere venti pagine dalla sceneggiatura. Non c’erano abbastanza soldi. Così, io e lo sceneggiatore Guillermo Calderón ci chiudiamo nel mio appartamento per una settimana a lavorare. Ma invece di tagliare, aggiungiamo venti pagine. Abbiamo filmato tutto molto più velocemente, per non sforare nei costi. Durante la fase di sceneggiatura e montaggio, cerco di essere lineare, ma il cinema è qualcosa di viscerale. Il regista non deve suggerire tutte le risposte. Un film è qualcosa di aperto, che lo spettatore può interpretare secondo la propria storia”. Questo è il cinema di Pablo Larraín.