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“Qualsiasi polemica è alle nostre spalle, questo non è un tribunale morale, ma una mostra del cinema, dell’arte meravigliosa”. Così il produttore, presente anche in cammeo, Luca Barbareschi apre la conferenza stampa di J’accuse, il film di Roman Polanski sul caso Dreyfus in Concorso a Venezia 76 e dal 21 novembre nelle nostre sale con 01 Distribution.
Le polemiche sono quelle per le dichiarazioni, poi rettificate, della presidente di giuria Lucrecia Martel, che aveva detto non avrebbe partecipato alla serata di gala di J’accuse per il “disagio” nei confronti dell’86enne regista, su cui pende un mandato di cattura Usa dopo la condanna per il rapporto sessuale con una tredicenne consumato con l'ausilio di sostanze stupefacenti nel 1977.
Assente dal Lido, giacché gli Usa potrebbero chiederne l'arresto e l'estradizione, Polanski ha fatto sentire la propria voce nell’intervista inserita nel press-book di J’accuse: “La storia di un uomo ingiustamente accusato è sempre affascinante, ma è anche una questione molto attuale, vista la recrudescenza dell'antisemitismo”. Ancora, allorché gli chiedono se dopo la persecuzione patita da ebreo nella Seconda Guerra Mondiale e da cineasta nella Polonia stalinista sopravvivrà al “maccartismo neofemminista” corrente, che già l’ha fatto escludere all’Academy, Polanski risponde: “Nella storia, a volte trovo momenti che ho vissuto io stesso, posso vedere la stessa determinazione nel negare i fatti e condannarmi per cose che non ho fatto. La maggior parte delle persone che mi avversano non mi conoscono e non sanno nulla del caso”. Al riguardo, J’accuse non è una catarsi: “Il mio lavoro non è terapia. Tuttavia, devo ammettere che ho familiarità con molti dei meccanismi dell'apparato di persecuzione mostrati nel film, e questo mi ha chiaramente ispirato”. Infine, nell’intervista allegata la press-book, Polanski torna sulla morte dell’allora compagna Sharon Tate, assassinata dalla Manson Family, e sulle “storie assurde di donne che non avevo mai visto prima in vita mia che mi accusano di cose che presumibilmente sono accadute più di mezzo secolo fa”, e conclude: “Reagire? Per che cosa? È come combattere contro i mulini a vento”.
Polanski torna sul caso Dreyfus, il capitano di origine ebraica incarnato da Louis Garrel accusato nel 1894 di aver passato informazioni militari ai tedeschi e condannato all’ergastolo sull’isola del Diavolo: prove inesistenti e artefatte, antisemitismo montante, sull’affaire prese posizione, con il celeberrimo J’accuse, una lettera pubblica al presidente della Repubblica, lo scrittore Èmile Zola, ma sulla scorta del romanzo di Robert Harris L’ufficiale e la spia il regista segue la storia dalla prospettiva di George Piquart (Jean Dujardin), che da neo-capo del controspionaggio indaga sul flusso di informazioni ai tedeschi che non si è arrestato dopo l’arresto di Dreyfus.
Se Barbareschi “ringrazia Dio di aver potuto lavorare con Polanski e questa storia di attualità sconcertante” e per la seconda volta non prende posizione sulle dichiarazioni della Martel: “Il passato è passato, il film deve parlare, giuria giudicare, il pubblico se vuole applaudire”, il produttore Alain Goldman ricorda “l’entusiasmo di Polanski, che a questo progetto lavorava da tempo, quando gli ho proposto di girarlo in francese”.
Gli attori si soffermano sul caso Dreyfus: “Avevo solo ricordi scolastici, ho studiato molto la sceneggiatura, la star del film era la storia, io mi sono messo al servizio, come fa Roman sempre”, dice Dujardin; “E’ un thriller politico, io sono pigra , non mi sono molto documentata, ma ho cercato di essere la più onesta possibile”, confessa Emmanuelle Seigner, che festeggia oggi trent’anni di matrimonio con Polanski; “E’ il fatto della storia francese contemporanea più importante, lo conoscevo e non lo conoscevo, come tutti i francesi. Dreyfus ha vissuto l’inferno per 10 anni, e i suoi nipoti sono stati deportati nella Seconda Guerra Mondiale: l’inferno non è finito”.
In riferimento al corrente antisemitismo in Francia e in Europa, Barbareschi osserva come gli “estremismi abbiano tolto centralità al pensiero moderato europeo, dobbiamo tornare all’Illuminismo”, Goldman sottolinea come “Piquart è stato il vero eroe del caso Dreyfus, che preannunciava l’Olocausto del XX secolo, un uomo eccezionale che ha opposto la conoscenza all’ignoranza e aperto una via alle generazioni future”.