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“La comicità è una cosa seria: tu ridi delle disgrazie degli altri”. Lo diceva già Pirandello, lo ribadisce Gabriele Salvatores alla presentazione del suo nuovo film dal titolo Comedians, in uscita il 10 giugno distribuito in 250 copie da 01distribution.
Non sono Sei personaggi in cerca d’autore, ma sono comunque sei gli aspiranti Comedians in cerca di un’opportunità: Ale e Franz; Giulio Pranno; Marco Bonadei; Walter Leonardi e Vincenzo Zampa. Stanchi delle loro vite mediocri si preparano ad affrontare la prima esibizione in un club, guidati dal loro maestro (Natalino Balasso) del corso serale di stand-up comedy e giudicati da un esaminatore (Christian De Sica). Ne esce fuori un film che è una riflessione sul senso della comicità nel nostro tempo.
“Ho messo in scena l’omonimo testo del drammaturgo inglese Trevor Griffiths”, racconta Salvatores che in passato, nel 1985, aveva già portato quest’opera del 1975 a teatro, precisamente al Teatro dell’Elfo di Milano con un cast di giovani attori (tra cui Paolo Rossi, Silvio Orlando e Claudio Bisio).
“Oggi rileggendolo ho scoperto il dark side of the moon di quel testo, come direbbero i Pink Floyd, il suo lato oscuro. C’è una comicità che lavora sugli stereotipi e sui pregiudizi. Tante volte usiamo una battuta comica per eludere un problema. Per esempio il sesso è una delle cose che fa più paura ai maschi”, spiega il regista. E sulla somiglianza con un suo vecchio film intitolato Kamikazen (1987), che vedeva protagonisti sempre sei comici dilettanti e disperati chiamati dal loro agente per una serata, dice: “Quello è un’altra cosa. Non c’è la scuola, non c’è il maestro, non c’è l’esaminatore. Non c’entra nulla con questo film. Lì raccontavo la Milano degli anni ottanta. Sul finire di quegli anni si è sdoganato completamente il politically correct”.
A proposito di politically correct cosa ne pensa? “E’ una domanda importante e non ho una risposta esatta sull’argomento. Il politicamente corretto è rischioso, se viene usato in una certa maniera. Vediamo quello che sta succedendo con il #MeToo, un’istanza giusta che sta diventando ridicola. Oppure guardando al cinema il politically correct porta a premiare per forza un film con degli attori neri. Addirittura c’è l’obbligo. E’ una questione di equilibrio. Certo bisogna stare attenti e non fare sempre e solo battute infelici sui neri. Il confine è sottilissimo e va considerato”.
Ma si può ridere anche di cose terribili? C’è in qualche modo un limite che il mestiere del comico non deve oltrepassare? Difficile rispondere. Per Franz è una questione di sensibilità (“Noi non scherziamo per esempio sulle malattie. La nostra è stata una scelta naturale”), per Ale sono più importanti le intenzioni delle parole, per Natalino Balasso c’è sempre meno gente che capisce l’ironia e per Christian De Sica: “La comicità non ha limiti. Pensate che Alberto Sordi in Piccola posta suonava lo xilofono sulle teste delle vecchiette. Adesso sarebbe impensabile”.
Sul successo il Premio Oscar Gabriele Salvatores afferma: “Ogni volta ho cercato di fare qualcosa che non sapevo fare. Cambiando genere film dopo film. Non mi sono mai considerato in nessun modo arrivato. Quando sei convinto di saper fare molto bene una cosa sei vicino alla fine secondo me. Per un artista ci vuole l’ansia, la paura di non riuscire a farla e la voglia di trovare delle cose nuove. Miles Davis diceva: se vuoi rimanere vivo e interessante suona con gente più giovane di te. Devi trovare delle cose da fare che ti stimolino”.
Christian De Sica, per la prima volta diretto da Salvatores, aggiunge: “Per raccontare il presente devi stare in mezzo alla strada e Gabriele sta in mezzo alla strada quindi può raccontarcelo”.
In effetti sono tanti sicuramente i temi di assoluta attualità del testo e di questo film: dal rapporto tra padre e figlio (Pranno e Balasso), al discorso sull’odio fino alla voglia di successo. Mancano però le donne. “Volevo mettere in scena il testo di Trevor Griffiths fedelmente e lì, ahimè, non c’erano le donne. Nel mio prossimo film su Casanova ce ne saranno tantissime!”. E poi conclude: “Le sale non chiuderanno mai. In sala si sospende la realtà”.