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“Offese alla Sicilia e all’Arma dei Carabinieri? La sublime grandezza di Corrado Guzzanti mi costringe a rifiutare il fatto che Guzzanti non possa parlare in siciliano. O forse non vogliamo godere dell’ironia e delle sottigliezze di un maresciallo umano, troppo umano? Non è questione di parodia, piuttosto, uno dei testi che mi han guidato è il Falstaff di Verdi, che si conclude con un ‘Tutto il mondo è burla’. La legge, ovvero il maresciallo, decide di seguire l’umano, se stesso: è una beffa, uno scherzo del destino. Ma se non facciamo cinema per prenderci di rischi, per percorrere territori insidiosi, perché lo facciamo?”. Così Luca Guadagnino risponde in conferenza stampa a chi gli chiede dell’epilogo del suo A Bigger Splash, accolto da fischi e qualche applauso in Concorso a Venezia 72, un finale farsesco in cui il maresciallo dell’Arma e grande fan della rockstar Marianne interpretato da Corrado Guzzanti ha un ruolo centrale.
Dopo il successo di Io sono l’amore, Guadagnino ritrova – per la quinta volta nella sua filmografia – Tilda Swinton, la sua attrice feticcio. L’occasione è il remake de La piscina di Jacques Deray, proposta del francese Studio Canal, per cui il regista italiano ha radunato oltre a Tilda, Ralph Fiennes e due giovani in grande ascesa, Dakota Johnson, figlia di Don e Melanie Griffith e interprete di 50 sfumature, e Matthias Schoenaerts, già visto al Lido in The Danish Girl.
A Pantelleria, in un dammuso di lusso, alloggiano Marianne (Swinton), rockstar che ha perso la voce, e Paul (Schoenaerts), direttore della fotografia. A rompere l’equilibrio, e non solo, della coppia, arriva Harry (Fiennes), già legato a Marianne e già produttore di grandi del rock quali i Rolling Stones: affamato, vitale e vivace, è arrivato sull’isola per riprendersela, accompagnato da una bella e bionda ragazza, Penelope (Johnson), che scopriremo essere sua figlia.
Ad aprire A Bigger Splash, (il titolo fa riferimento a una serie anni ’70 di Hockney) è Marianne in concerto – in realtà, è quello di Jovanotti a San Siro – ma per il resto il personaggio è senza voce: “Non avevo voglia di parlare in un film, e l’ho detto a Luca. Mia madre era appena morta, non avevo voglia di parlare. Ma si è rivelata un’occasione importante per esplorare quei milioni di volte in cui le parole fanno un grande casino, sono di ostacolo alla relazione: già, lo scambio verbale si ritorce spesso contro di noi”.
Guadagnino dice di aver voluto inquadrare “le politiche del desiderio tra persone adulte, un’alterità possente, violenta, irriducibile. Pantelleria è un’isola vulcanica, combattuta tra scirococ e maestrale, africana ma italiana, mentre il rock ‘n’ roll incarnato da Harry è segno di libertà e piacere assoluto, ma insieme necessità di sopire questa libertà”. Viceversa, sui migranti che i suoi protagonisti incrociano sull’isola, Tilda Swinton invita “tutti a non chiamarli immigrati o migranti, bensì rifugiati politici”, mentre sulla scorta del suo maestro Bertolucci, e dunque Renoir, Guadagnino dice di aver “voluto lasciare aperta la porta alla realtà, all’alterità che questi rappresentano per il quartetto”.
Sui fischi ricevuti dal film nelle due proiezioni stampa, Guadagnino osserva: “Sono nella natura del festival di Venezia e della moltiplicazione delle opinioni: ognuno le esprime come crede”.
Viceversa, se Ralph Fiennes sottolinea come “Il livello di provocazione del mio personaggio mi ha attirato, Luca ama provocare e pure io”, il regista segna la sua distanza dall’originale La piscina di Jacques Deray e evidenzia la volontà di “filmare l’invisibile, ovvero il desiderio, che tutto muove e produce conseguenze estreme”. Ancora, sul fatto che il film, come il precedente Io sono l’amore, possa strizzare l’occhio a un pubblico americano, Guadagnino ribatte: “Non è questione di fare film pret-à-porter per il gusto internazionale, di afre cartoline, ma di prossimità. Tra parentesi, gli estimatori maggiori di Io sono l’amore li ho trovati in Corea del Sud”, mentre la scelta di attori stranieri deve essere rubricata nel “DNA del cinema italiano, corpi alieni irrompono sullo schermo nazionale. Del resto, non avendo confini, il cinema non ha geografia, il cinema è cinema, per me il glamour, le celebrities e lo star system non sono imperativi”.
Infine, ritornando all’epilogo con il maresciallo di Guzzanti, Guadagnino fa riferimento all’impossibilità di “una legge neutra: non esiste, e dopo 20 anni di Berlusconi noi lo sappiamo bene. Marianne era entrata in scena con i suoi fan al concerto, e con un suo fan esce dal film: l’amore cieco e imbelle del maresciallo ha la meglio sulla legge, perché ‘Tutto nel mondo è burla’”.