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“La Chiesa crede possibile la repressione del desiderio umano, ma il desiderio è desiderio: se lo reprimi, il corpo esplode… L’associazione tra pedofilia e omosessualità non è corretta: la seconda è orientamento, l’altra una malattia. Tuttavia, ci sono casi tra i membri della chiesa di omosessuali con tendenze pedofile che più inquietano, suscitano più interesse nella stampa, ma fare differenza tra omosessualità e pedofilia è importante.
Quando la Chiesa capirà che il desiderio è fondamentale in molti corpi forse potrà trovare pace, ci sono cose che non possono essere represse. La Chiesa crede ancora che l’omosessualità sia una malattia, ma la sessualità non è solo associata all’aspetto riproduttivo, ha una bellezza intrinseca. Mi fa strano che la bellezza della sessualità non si accettata da un’organizzazione così divina e umana al contempo…”.
Parola di Pablo Larrain, il giovane regista cileno classe 1976 omaggiato dalla Festa del Cinema di Roma di una retrospettiva che comprende anche il suo ultimo film, El Club, già Orso d’Argento Gran Premio della Giuria alla 86. Berlinale.
Il film, che arriverà nelle nostre sale con Bolero Film, si apre con dei versetti della Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona, e separò la luce dalle tenebre”, e inquadra quattro uomini, quattro sacerdoti, che vivono in una casa isolata, separati dal mondo: ciascuno di essi è stato spedito lì per espiare i propri peccati, dalla pedofilia al traffico di minori, e vive sotto regole precise e la cura di una donna, una suora supervisore. Ma la routine è sconvolta dall’arrivo di un quinto sacerdote, che si porta appresso il passato…
“La Chiesa funziona nella segretezza, con il meccanismo del conclave, ma quando su temi complessi non si parla, si crea un’atmosfera di grande mistero, si dà adito alle supposizioni. Di El Club si dice sia un film sulla pedofilia, ma solo un prete è pedofilo e manco lo ammette: lo definiamo un film sulla pedofilia perché siamo ossessionati dal tema”, continua Larrain.
Sulla sua presenza a Roma: “E’ una città fondamentale nel cinema, e nel cinema che mi interessa, per me essere qui è una cosa molto potente. Le cinematografie esportano l’immaginario, oggi il cinema latino-americano sta vivendo un momento di grande splendore, perché facciamo un cinema non auto-compiaciuto, ci rapportiamo bene con cineasti venuti prima di noi, ci mettiamo in scia. Le nostre storie sono costruite universalmente, così il nostro cinema viaggia”.
Ancora, sulla Chiesa: “Papa Francesco mi interessa, il gesuita del film rappresenta la nuova chiesa e ha somiglianze con il papa. E’ in corso una battaglia tra la vecchia e la nuova chiesa: la prima è per lo status quo e le porte chiuse, i prelati con anelli e gioielli, ed è in aperto conflitto con la Chiesa di Bergoglio, più umile e vicina ai fedeli. Ma entrambe condividono il terrore per la stampa e i mass media: forse la Chiesa ha più paura della stampa che dell’inferno. E’ una questione molto contemporanea: prima essere vittima era umiliante, oggi le vittime sono protette, hanno cura e attenzione, ne rispettiamo il coraggio, e così sui giornali finiscono gli scandali che le riguardano”.
Se nei “miei film non ci sono dichiarazioni politiche, perché non sono pamphlet, non hanno un obiettivo ideologico, il cinema è sempre politico”, afferma Larrain, che in El Club ha “cercato una calligrafia visiva in sintonia con il tono del film: il cinema è fatto con sceneggiatura, personaggi, ma anche atmosfera, che crea spazio emotivo. El Club è un film di, piccola, protesta contro l’egemonia dell’HD, dell’alta definizione: oggi tutti i film si assomigliano, e assomigliano alle riprese sportive. Noi abbiamo usato obiettivi sovietici, usati tra gli altri da Tarkovskij, e filtri per inquadrare questo luogo di pena, penombra, colpa e peccato. Abbiamo cercato una trasfigurazione visiva”.
Larrain non parla dei progetti futuri, ma del film su Neruda sì: “E’ in fase di montaggio. Tra il ‘47 e il ’49, Pablo fu perseguitato dalla polizia perché il partito comunista era stato dichiarato illegale: il mio è un film su questa sua fuga, inseguito da un poliziotto, e ha una connotazione noir, ma anche di commedia. Ne sono entusiasta”.
Sulle ascendenze cinematografiche di El Club, Larrain conclude: “Potrei citare a Bergman e Bunuel, ma penso anche all’aspetto mistico e religioso di Pasolini. Pasolini fa levitare un personaggio, prima di girare un nuovo film io e la troupe vediamo sempre una delle sue opere”.