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“La terra dei figli aveva dentro di sé un universo sentimentale che non apparteneva solo al mio ombelico, ma a quello di tutti noi. Prima di leggere il suo romanzo mai avrei pensato di fare un film post-apocalittico”. A parlare è il regista Claudio Cupellini che ha presentato al Taormina Film Festival il suo film liberamente tratto dall’omonimo fumetto di Gipi (edito nel 2016 da Coconino Press e da Fandango) e ambientato in un imprecisato futuro post catastrofico. “Sono un fan di Gipi. Avevo letto tutti i suoi graphic novel e i suoi fumetti- racconta il regista-. Ho chiacchierato a lungo con lui, un po’ ho tradito l’originale, ma talvolta i tradimenti sono virtuosi”.
Protagonisti sono un padre (Paolo Pierobon), un figlio (Leon de La Vallée, giovane rapper conosciuto nella scena musicale come Leon Faun, per la prima volta sul grande schermo, e proprio ieri vincitore del Disco d’oro), una ragazza imprigionata (Maria Roveran), una “strega” cieca (Valeria Golino), un uomo senza il naso che si copre il viso con una maschera da sub (Valerio Mastandrea), due contadini stile il Gatto e la Volpe (Maurizio Donadoni e Franco Ravera) e infine un cattivissimo (Fabrizio Ferracane).
In un mondo regredito, violento, fatto di paesaggi desolati, dove la civiltà è finita, il figlio lotta per la sopravvivenza. Nel film ha anche una grande importanza la memoria. “Uno dei temi fondamentale è proprio quello del ricordo, del tramandare le proprie esperienze ai figli- dice Valeria Golino-. Siamo in un momento di dimenticanza perché non si fa in tempo a ricordare e a trattenere la memoria. È tutto talmente trafelato che anche la memoria diventa selettiva. Ci sono persone a cui i ricordi non piacciono e persone che li vogliono assolutamente trattenere. Tutto è relativo”. E Maria Roveran aggiunge: “E’ importante riscoprire la memoria ogni giorno in un mondo che corre. Il suo concetto è molto personale. Questo film ha toccato tante mie corde. È stata un’opportunità. Per interpretare il mio personaggio ho dovuto perdere dei chili e rasarmi a zero”.
Tra i vari personaggi anche Valerio Mastandrea, che inizialmente avrebbe dovuto interpretare il padre, mentre Paolo Pierobon avrebbe dovuto fare il boia. “Avvolte succedono degli accadimenti che si trasformano in grandi fortune- racconta il regista-. Valerio e Paolo non si incastravano con le date e alla fine abbiamo deciso di cambiare i ruoli. Leon invece l’ho scelto perché aveva una corrispondenza fisica impressionante con il protagonista”.
Sull’associazione tra questa storia post-apocalittica e il Covid il regista dice: “Non ci trovo somiglianze. Il mio è un romanzo di formazione e di sentimenti che riguardano tutti noi. È un film inserito nel presente, ma dal punto di vista sentimentale”.
E Valerio Mastandrea aggiunge: “Non ho legato questa storia al Covid e alla pandemia, ma l’ho attualizzata e l’ho adattata al presente. Mi sono ritrovato anche io più di altri a trainare questo aspetto del film. Il mio personaggio è quello che ricorda l’amore e l’affetto e questo gli permette di compiere delle scelte”.
Girato sul delta del Po e sulla laguna di Chioggia. “Sono di Padova- dice il regista-. Quindi sono luoghi che fanno parte della mia formazione. È la terra che è stata raccontata da Carlo Mazzacurati”. E sulla musica: “Doveva rispettare lo stesso rigore che abbiamo con la macchina da presa e con le immagini. Ha la sacralità di un canto che è contemporaneo, ma porta con sé un passato”.
Prodotto da Indigo il film uscirà nelle sale il primo luglio distribuito da 01 distribution. “Cerchiamo di creare degli oggetti destinati a durare nel tempo che possano sopravvivere all’era che stiamo vivendo”, conclude il produttore Nicola Giuliano.