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“Serve ritrovare la curiosità del pubblico”, dice il direttore della Casa del Cinema di Roma Giorgio Gosetti. “La quota di mercato del cinema italiano nel 2015 è sprofondata a un deludente 21,35% di presenze (la quota più bassa del decennio, NdR) contro il 60,01% degli Usa”, puntualizza Redento Mori, curatore scientifico del Rapporto 2015. “Il nostro sistema editoriale è apprezzato all’estero, ma i riscontri economici ancora non ci sono”, osserva Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema.
Sono solo alcuni degli intervenuti alla presentazione dell’ottava edizione del Rapporto. Il Mercato e l’Industria del Cinema in Italia, ricerca della Fondazione Ente dello Spettacolo e della Direzione Generale Cinema MiBACT, che dal 2009 offre uno studio sul comparto cinema e audiovisivo italiano, nonché un quadro del panorama internazionale.
Sul fronte dei dati 2015, 99.362.000 presenze (+8,56%) per 637.265.000 di incassi (+10,78%); un solo titolo italiano nella top10 degli incassi; più donne che uomini (14,25 milioni contro 14,18) in sala, si conferma il trend del 2014; crescita di incassi e ingressi nel Mezzogiorno negli ultimi due anni; decima posizione nella top 10 mondiale e terza nella top10 europea per il numero di film prodotti (185, di cui 135 di iniziativa nazionale); il 49,7% degli italiani con più di sei anni (rispetto al 48,0% del 2014) si è recato al cinema almeno una volta.
Negativa la disamina di Nicola Borrelli, dg Cinema del MiBACT: “Il settore dell’audiovisivo è piccolo, rattrappito rispetto alle potenzialità e nel confronto internazionale: i biglietti sono fermi a 100 milioni da 20 anni, l’incasso medio dei film è in diminuzione, il budget e l’incasso medio pure, senza contare che il 50% della popolazione non va al cinema”. A partire da questo quadro, Borrelli punta il dito: “Servirebbe aumentare il fatturato, laddove il nostro sistema è ristretto con concentrazioni: la situazione ottimale per rimanere fermi, non a caso la situazione di stallo dura da 20 anni”. Non solo, per il dg Cinema viviamo ancora, “unici in Europa, la dicotomia tra dimensione culturale e dimensione economica, film d’arte e commedia” e, soprattutto, “il risultato del film al botteghino non sta a cuore a buona parte della filiera”.