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Lo abbiamo studiato sui libri di scuola. Spesso, al liceo, sono uscite tracce di temi alla maturità su lui e sulla sua poetica. Non l’abbiamo però mai visto al cinema. Il cattivo poeta (questo il titolo del film) è Gabriele D’Annunzio (1863-1938), poeta, drammaturgo, simbolo del decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale. Ce lo racconta Gianluca Jodice, alla sua opera prima, lo impersona Sergio Castellitto, e lo producono Matteo Rovere e Andrea Paris, insieme a Nicolas Anthomé. Una coproduzione italo-francese dunque nelle sale dal 20 maggio distribuita in 200 copie da 01 Distribution.
“Ho esordito tardi e questo mi ha dato modo di essere un po’ sfacciato”, dice il regista. Perché un film su D’Annunzio? “Matteo Rovere mi disse di pensare a un biopic e io scelsi di farlo su di lui. Ero affascinato da questo poeta, rinchiuso in un castello, il Vittoriale, stile Dracula, tra ossessioni, perversioni, donne e cocaina. Una sorta di Nosferatu che poi ha subito una damnatio memoriae. Anti-italiano e arci-italiano allo stesso tempo. Scomodo, complesso, contraddittorio, ha vissuto mille vite e poi non era mai stato raccontato al cinema”. E Matteo Rovere: “D’Annunzio è la prima rock star ante litteram. Riusciva a muovere le folle senza i social. E’ stato un personaggio un po’ asfaltato dopo il ventennio”.
Qui si racconta l’ultimo anno, il viale del tramonto, del sommo poeta. E’ il 1936 e Giovanni Comini (Francesco Patanè) è appena stato promosso federale dal suo mentore, Achille Starace, segretario del Partito Fascista e numero due del regime. Comini viene convocato a Roma per una missione molto delicata: dovrà sorvegliare Gabriele D’Annunzio, perché il Vate, il poeta nazionale, negli ultimi tempi appare contrariato e Mussolini teme che possa danneggiare la sua imminente alleanza con la Germania di Hitler.
Tutto quello che si vede è frutto di un grande lavoro storico e filologico. Sono stati recuperati diari e scritti di D’Annunzio, utilizzati poi nella sceneggiatura, e gran parte della documentazione è stata ripresa dal libro dello storico e giornalista Roberto Festorazzi, uscito per la prima volta nel 2005, dal titolo: D’Annunzio e la piovra fascista. Spionaggi al Vittoriale nella testimonianza del federale di Brescia.
da sinistra il regista Gianluca Jodice e il direttore della fotografia Daniele CiprìPer interpretarlo al meglio Sergio Castellitto si è rasato a zero: “Temevo che non mi sarebbero più ricresciuti i capelli- racconta l’attore-. La sua figura viene raccontata attraverso l’incontro con Comini. Da un lato c’è un uomo che di fronte a sé ha più passato che futuro, dall’altro lato un giovane che al contrario ha più futuro che passato. Ho cercato di non avere paura della grandezza del personaggio. Anche se sono abituato ad interpretare personaggi realmente esistiti. Io invento pure quando c’è da ricostruire qualcosa”.
E Francesco Patanè, qui per la prima volta sul grande schermo (scoperto dal regista perché faceva la spalla, ossia dava le battute ai protagonisti del film, ed era molto bravo), dice: “Mi sono documentato al contrario, cercando di dimenticare tutto quello che sapevo su Gabriele D’Annunzio e di fare tabula rasa. Mi sono liberato di tutto quello che avevo studiato a scuola. Comini arriva al Vittoriale che non ha mai letto nulla di quello che ha scritto il poeta. E D’Annunzio gli permette di aprire gli occhi su una situazione che non aveva compreso pienamente. Questo film ci insegna l’importanza del rimanere aperti nell’ascoltare l’altro e ci ricorda che bisogna avere il coraggio di cambiare idea”.
Il Vittoriale, complesso eretto tra il 1921 e il 1938, a Gardone Riviera sulla sponda bresciana del lago di Garda, è senza dubbio un altro dei protagonisti del film. “Le case sono la geografia della propria anima- dice Castellitto-. E il Vittoriale lo è. Solo l’archeologia ci insegna qualcosa del futuro. Tutto al Vittoriale raffigura D’Annunzio: potenza, morte, decadenza, desiderio di vita. Il film non sarebbe venuto così bello senza la possibilità di girare in quel luogo”.
Infine Castellitto conclude: “Non c’è stato nessun poeta così amato e adorato in vita, a 360 gradi, e non c’è mai stato un uomo così maledetto e odiato in morte. Questa storia ti conferma che era un genio. E penso che se c’è un poeta assimilabile a D’Annunzio quello sia proprio Pier Paolo Pasolini, che lo detestava. Entrambi sono stati poeti soldati. Entrambi, insieme a Curzio Malaparte, compongono una possibilità di rileggere l’intelletto italiano in un altro modo. Tre giorni fa è stata imbrattata a Trieste la statua di D’Annunzio. La cancel culture continua a colpire e questo vuol dire che stiamo messi male”.